martedì 11 ottobre 2016

Repubblica 11.10.16
Se anche la scienza non capisce i transgender
di Paolo Cornaglia Ferraris

LA RICERCA genetica continua a definire nuovi fattori coinvolti nello sviluppo del genere maschile o femminile. Ciononostante, la comprensione scientifica del transgender resta inadeguata. L’assegnazione del sesso alla nascita, basata sulla sola apparenza dei genitali, non è precisa. Differenze nell’attività dei geni che condizionano la funzione del cervello in rapporto alla definizione di genere impattano con organizzazione sociale, fattori psicologici e cultura. Anatemi e carcerazione non sono risposte accettabili alla richiesta di persone in cui il genere assegnato dall’anagrafe non corrisponde a quanto percepito. Adeguamento chirurgico, terapie ormonali, psicoterapia, fanno parte di decisioni mediche delicate, proprio perché deficitarie in dati scientifici. Ignorare ciò significa non capire che una minoranza dell’umanità (circa 140.000 persone in Italia, 700.000 in USA) ha problemi d’identificazione di genere. La rigidità di posizioni religiose e culturali scontra con una realtà medica che nulla ha a che fare con viziose derive culturali. Finanziare la ricerca, piuttosto, produce il rigore scientifico necessario a definire processi chiariti solo nei casi di ermafroditismo, quando è evidente la presenza di testicolo e ovaio nella stessa persona. Il paziente epilettico non è una persona nella cui testa è entrato il demonio, ma un malato con attività elettrica cerebrale patologica. Lo abbiamo capito grazie alla ricerca e siamo arrivati a farmaci efficaci, anche se non su tutti. Le discrepanze di genere non sono vizi di società decadenti, ma realtà cliniche che emergono grazie agli spazi conquistati dalla scienza.