il manifesto 11.10.16
Margaret Mead, quando i ruoli sessuali erano complementari
«Maschio
e femmina» della antropologa americana, maestra per successive
generazioni di studiosi. Un classico di riferimento per la futura
antropologia di genere
di Valeria Ribeiro Corossacz
Pubblicato
per la prima volta negli Stati Uniti nel 1949, Maschio e Femmina
dell’antropologa Margaret Mead è ora riedito per i tipi de Il Saggiatore
(pp. 410, euro 28), che lo aveva pubblicato nel 1966 nell’attuale
traduzione. Si tratta di un classico dell’antropologia, che ebbe un
grande successo di pubblico, e in particolare di un testo di riferimento
per quella che sarà la futura antropologia di genere, sviluppatasi
proprio dalla ricezione del lavoro di Mead. Il volume, che può essere
utilmente affiancato al testo divulgativo Margaret Mead. Quando
l’antropologa è donna, a cura di Silvia Lelli (2016), presenta materiali
e riflessioni basati su diverse campagne etnografiche, condotte tra il
1925 e il 1939 presso sette popolazioni del Pacifico meridionale e
occidentale: i samoani (Polinesia), i manus, gli arapesh, i mundugumor, i
ciambuli (Nuova Guinea), gli iatmul (Papua Nuova Guinea) e i balinesi.
L’oggetto di queste ricerche sul campo sono quelli che l’autrice stessa
definisce i problemi su cui ha meditato tutta la sua vita professionale,
ovvero cosa siano mascolinità e femminilità.
Oggi
potremmo dire che Mead studiava, in diverse società, i processi
culturali della costruzione del maschile e del femminile, quelli che
definiva ruoli sessuali, una tappa fondamentale nella formazione della
nozione di genere. Il libro si contraddistingue per proporre un
messaggio ottimista, basato sulla sua fiducia nelle capacità delle
scienze sociali di poter trasformare in meglio le relazioni tra uomini e
donne e così l’intera società americana. In Maschio e Femmina Mead
dimostra come, sin dalla primissima infanzia, uomini e donne sono
socializzati in base a un modello maschile e femminile previsto dalla
propria società, a cui gli individui si devono adeguare. Quello che in
una società può essere considerato un comportamento tipicamente
femminile (passività), in un’altra può essere ritenuto maschile. A volte
però le caratteristiche individuali non trovano spazio nei modelli
sessuali promossi e approvati socialmente.
I
ruoli sessuali sono dunque appresi, sono delle «parti da recitare», ma
secondo l’antropologa hanno comunque un fondamento naturale e sono
complementari. Mead non mette in discussione la divisione sociale tra
maschile e femminile, ma afferma che ci sono delle variazioni culturali
nei comportamenti maschili e femminili. Il libro si caratterizza per il
suo impianto comparativo, basato sull’idea che l’antropologia compara
società diverse trovandovi un «filo conduttore», che permise a Mead di
avvicinare i comportamenti di bambini e adolescenti statunitensi a
quelli delle popolazioni da lei studiate insinuando in un vasto pubblico
il dubbio che non tutto era «naturale» nei giochi, nelle preferenze dei
vestiti delle bambine e nelle scelte professionali delle donne. Inoltre
Mead sviluppa la lezione di Boas, di cui fu allieva, sulla plasticità
dell’essere umano, osservando come sessualità, matrimonio e riproduzione
siano condizionati dal contesto culturale. Mead era estremamente
consapevole della forza dei condizionamenti culturali, per esempio di
quanto fosse difficile per una donna fare l’antropologa, osservando come
le antropologhe siano più sensibili dei colleghi a quanto succede nella
propria famiglia quando sono sul campo e come questo influenzi
l’esperienza stessa del campo.
Tuttavia,
leggendo il testo ci rendiamo conto come anche Mead rimanesse immersa
nella cultura della sua epoca, come quando afferma che lo stupro non è
un «atto riconosciuto socialmente», ma piuttosto che esso «può
svilupparsi come una deviazione di speciali situazioni sociali», ovvero
quando ci sono delle diversità di educazione o di classe. Sappiamo
quanto sia difficile ancora oggi riconoscere la violenza sessuale contro
le donne.
Maschio e femmina può apparire
scritto in un linguaggio datato, lontano dall’attuale letteratura degli
studi di genere, ma ci è quanto mai utile per comprendere la complessità
dell’impresa iniziata dall’antropologa americana. Il lavoro di Mead ha
rappresentato, infatti, il punto di partenza delle riflessioni che
identificano sesso (natura) e genere (cultura) come separati, ma anche
di quelle che riconoscono come il genere venga prima del sesso, poiché
gli esseri umani investono gli attributi naturali di significati
prodotti nelle relazioni sociali. Mead ha contribuito ad avviare questi
sviluppi, che lei non avrebbe affatto condiviso, attraverso le sue
ricerche sul campo in cui osservava come i modelli educativi di bambine e
bambini possono variare in modo considerevole da una società all’altra.
La prospettiva comparativa e l’insistenza sulla plasticità delle
esperienze umane hanno reso il suo lavoro la base da cui si svilupperà
poi l’antropologia femminista. Mead prese sempre le distanze dalle
rivendicazioni femministe dei suoi tempi. Eppure la sua opera è stata un
ponte per le lotte contro l’oppressione delle donne, poiché in essa
l’antropologa dimostra che non esistono basi biologiche per la
discriminazione sociale delle donne e denuncia quelle visioni che
«sopravvalutano il ruolo delle diversità fra i sessi e le estendono
arbitrariamente ad altri aspetti della vita».
Come
ricorda la figlia Mary Catherine Bateson, il cambiamento era uno dei
temi principali del lavoro di Mead, ovvero l’idea che la cultura non è
un destino innato, ma un artefatto umano che può essere modellato.
Seguendo proprio questa strada, l’antropologia femminista ha scardinato
l’idea che in ultima istanza le donne siano determinate dalla loro
capacità riproduttiva, dalla loro specifica natura. Ci auguriamo che la
riedizione di questo classico indichi la strada per la pubblicazione di
altri testi antropologici che ormai da anni studiano l’organizzazione
sociale dei rapporti tra uomini e donne, l’eterosessualità come una
delle molteplici opzioni a disposizione degli esseri umani per vivere la
sessualità, gli affetti e la famiglia, e come essa si fondi, nella
maggior parte delle società umane, sullo sfruttamento maschile delle
donne.