Repubblica 11.10.16
Al Nazareno come sul web lo scontro si trasforma in un gioco del cerino
Le
schermaglie dentro e fuori la sede del Pd dove è riunita la Direzione.
Militanti furibondi mentre in sala i contendenti provano a mettersi in
difficoltà l’un l’altro
di Sebastiano Messina
ROMA.
«Il gioco del cerino continua» dice un deputato renziano uscendo a
passo svelto dal Nazareno. E in effetti è davvero così. Matteo Renzi
prova a disinnescare la quasi-scissione passando alla minoranza il
cerino di un quasi-compromesso, una commissione con dentro anche uno dei
loro (o anche due, se non riescono a mettersi d’accordo sul nome), e
subito dopo quelli glielo ripassano ancora acceso, avvertendo che la
verifica sull’Italicum – ovvero sulla riformabilità della riforma – va
fatta prima e non dopo il referendum, o voteranno No.
Eppure,
chi si è trovato a passare prima e dopo la riunione in via Sant’Andrea
delle Fratte davanti alla sede del Pd (era l’androne illuminato davanti
al quale erano schierati sei celerini col fisico da parà, di fronte alla
vetrina che offre a prezzi di saldo i distintivi dorati di Pci, Dc,
Psi, Psdi, Pli e Msi) ha potuto toccare con mano com’è cambiata
l’atmosfera durante la Direzione.
Bastava
assistere all’arrivo di Roberto Speranza. «No ragazzi, prima voglio
ascoltare la relazione…» stava dicendo l’ex capogruppo ai cronisti,
quando gli è arrivato addosso un contestatore infuriato, i capelli
bianchi come il suo giubbotto. «Ma vergognati, vai a lavorare!» gridava,
identificando in lui tutti gli avversari di Renzi. Non era solo.
«Vadino fuori dal partito, come Cossutta!», ha aggiunto un altro di
rincalzo, con lessico involontariamente fantozziano: «Mi chiamo Marcello
Barchesi, ho 82 anni e ne ho passati 60 dentro questo partito, perciò
ho il diritto di dire che se ne devono andare fuori dalle scatole: lui,
Cuperlo e D’Alema, che è il campione del mondo degli sfasciapartito ».
«Signore, deve stare tranquillino » gli ha suggerito il dirigente della
Digos, dopo avergli chiesto i documenti, ma quello non si è calmato per
nulla, anzi. «Che vuol dire tranquillino? Se passa Bersani glielo dico
in faccia, che deve andare… a riposarsi!».
L’affollata
comitiva di giornalisti, fotografi, cameramen e web-reporter formava
una truppa variopinta che si spostava a ondate, a sinistra al grido di
«Arriva Fassino!», a destra all’avvistamento di una macchina con i vetri
oscurati che portava chissà chi verso l’ingresso posteriore. Tutti lì
per capire se sarebbe toccato raccontare davvero la scissione del Pd sul
no al referendum. Fassino sdrammatizzava: «Un atto di scissione non
sarebbe solo inutile, ma non avrebbe nessun consenso nel Paese». Roberto
Giachetti infilava il portone scherzandoci su, e a chi gli chiedeva
della posizione sempre più dura della minoranza replicava con una
battuta: «Non so quale sia: la cambiano in continuazione ». A infuocare
gli animi ci si metteva pure il web. Perché su Twitter, alla domanda
retorica di Matteo Orfini («Cari Bersani e Speranza, a che gioco
giochiamo»), l’ex sottosegretaria Francesca Barracciu rispondeva con un
tweet-fucilata: «In Sardegna è definito il gioco dello sparare da dietro
un muretto a secco, tipico degli infami ».
Dentro,
intanto, Renzi stava facendo la mossa del cavallo, adottando la
proposta Chiti-Fornaro di far scegliere direttamente agli elettori –
anziché ai consiglieri regionali – i nuovi senatori, togliendo così al
fronte del No uno dei suoi argomenti più efficaci. Dopodiché ha passato
il cerino dell’Italicum ai suoi contestatori. Dite che è per colpa di
questa legge che voterete No? Bene, allora io sono pronto a ridiscuterne
i punti che per voi sono fondamentali: ballottaggio sì o no, premio
alla coalizione invece che al partito vincitore, metodo di elezione dei
deputati. Facciamo una commissione, diceva il presidente del Consiglio,
in cui entri anche la minoranza, una commissione che cerchi soluzioni
alternative a quelle contenute nell’Italicum e poi si confronti con gli
altri partiti per vedere se ci sono i voti per approvarla. Gli
oppositori, colti in contropiede, hanno replicato subito: sì ma quando?
«Dopo il referendum » ha precisato il segretario. E allora Speranza e
Cuperlo hanno ripassato il cerino a Renzi: «È un segnale che voglio
cogliere, ma non basta», ha detto il primo. E l’altro: «Cerchiamolo
questo accordo, ma se non lo troviamo prima del referendum io voto no e
mi dimetto da deputato».
E mentre il cerino
passava di mano in mano lo spettro della scissione continuava ad
aleggiare. «Ora il dibattito può proseguire» commentava soddisfatto il
vicepresidente dell’Europarlamento, David Sassoli. «Avevamo chiesto un
impegno sulla legge elettorale. E la risposta è una commissioncina? Ma
andiamo...», commenta invece il bersaniano Nico Stumpo. Lo streaming ha
portato le notizie in diretta anche davanti al palazzo. Ma in via
Sant’Andrea delle Fratte non c’era quasi nessuno, quando la riunione è
finita. Anche il compagno Barchesi se n’era tornato a casa.