martedì 11 ottobre 2016

Repubblica 11.10.16
Il Pd è ormai appeso a un filo sempre più consunto
O nasce il movimento di Renzi o per il centrosinistra sarà l’anno zero
A chi crede a un compromesso resta poco tempo per fare una verifica
Perché il 5 dicembre non avremo più il Partito democratico che conosciamo
di Stefano Folli

Il Partito Democratico, nato per garantire una prospettiva di anni al centrosinistra, è appeso a un filo ormai consunto. La sera del 5 dicembre le schede del referendum serviranno a decifrare anche il domani di quello che è pur sempre la forza politica di maggioranza relativa nel nostro paese. Ieri sera, dopo l’intervento di Renzi davanti alla Direzione e la replica di Cuperlo per la minoranza, si è capito soprattutto una cosa: nel futuro non ci sarà più questo Pd né il centrosinistra come oggi lo conosciamo.
Se vincerà il Sì avremo a tutti gli effetti il “partito di Renzi” e di quanti avranno accettato fino in fondo la sua logica e la sua leadership. Coloro, come ha detto il ministro Gentiloni, che considerano “un’enorme sproporzione” discutere della legge elettorale e del suo nesso con la riforma costituzionale quando il mondo è sconvolto da una crisi globale. Il che rende inutili, a ben vedere, anche le riunioni del Pd e lo stesso dibattito sul Sì/No. In realtà ha ragione Renzi: la partita è tutta politica, non è un cavillo tecnico sulla legge elettorale. O nasce a tutti gli effetti il partito del leader ovvero il centrosinistra ricomincia da una sorta di “anno zero”. È improbabile che il No segni un balzo indietro del paese sul piano sociale e istituzionale, come vuole la campagna pro-riforma, ma certo esso porrebbe un’esigenza di rifondazione del centrosinistra, in forme non prevedibili oggi.
Sono due mondi a confronto e serve a poco accusare l’incoerenza degli avversari, come ha fatto il presidente del Consiglio. Non solo intorno alla riforma, anche negli ultimi due-tre anni di storia politica l’incoerenza è un male che ha contagiato tanti, come è tipico delle fasi di passaggio. Quel che è vero, in vista del 4 dicembre tutti dovranno “fare i conti con la propria coscienza”. Una responsabilità che tocca i fautori del No non meno che i sostenitori del Sì. Ma fino a quella data non c’è da attendersi risultati clamorosi in grado di cambiare lo scenario su cui si consuma lo psicodramma del Pd.
Forse non tutti agiranno come Cuperlo, che ha pressoché annunciato il suo No ma anche le dimissioni da deputato alla vigilia del referendum. Di sicuro, chi pensa o finge di credere che esista ancora un margine di compromesso sulla legge elettorale prima del voto - ad esempio il ministro Orlando - ha davvero poche settimane per compiere una verifica. Al momento la tattica, esercizio nel quale Renzi è maestro, prevale di gran lunga sulla strategia. Ancora una volta il premier si è detto “disponibile” a cambiare l’-I-talicum. E ancora una volta ha chiesto di verificare in Parlamento, attraverso opportuni colloqui con i gruppi, quale sia la tendenza prevalente. Ma è chiaro che Renzi considera l’Italicum un’ottima legge, al punto di non preoccuparsi affatto che in un sistema tripolare essa diventi lo strumento con il quale i Cinque Stelle potrebbero vincere le elezioni (e con il monocameralismo della riforma Boschi diventare i padroni del paese).
Su queste premesse è difficile immaginare che dopo il Sì alla riforma il governo abbia la voglia e lo slancio per cambiare alla radice la legge elettorale. E infatti già oggi si rimane all’interno del circuito tattico. La novità semmai è che Renzi ha tirato fuori dal cassetto dove era stato dimenticato il progetto Chiti-Fornaro per l’elezione dei nuovi senatori e lo ha fatto proprio. Questa è la vera concessione fatta alla minoranza. Ci si potrebbe domandare: perché così tardi? Ma la risposta sarebbe scontata: nel gioco delle astuzie tattiche, da una parte e dall’altra, è adesso il momento propizio per usare la proposta di due parlamentari certo non “renziani” al fine di “togliere alibi” (parole del premier-segretario) agli oppositori.
In ogni caso, il giorno che spazzerà via le astuzie e le contorsioni sarà il 4 dicembre. Dopo quel giorno comincerà un nuovo capitolo nella storia del Pd e del centrosinistra. Fino ad allora, l’idea di “tenere unito il Pd” attraverso uno sforzo quotidiano alquanto estenuante serve solo a scaricare sugli altri, sugli avversari, la responsabilità di una rottura molto plausibile, ma che nessuno vuole essere il primo a dichiarare.