Il «combinato disposto» e le due opposte visioni del partito
Le generiche affermazioni sul Pd «di tutti» non riescono a celare un’inedita frattura
di Andrea Colombo
Va
in scena uno spettacolo inedito: la spaccatura frontale e pubblica del
partito erede del Pci. E’ una frattura che i toni cercano di nascondere,
che tutti cercano di mascherare dietro generiche affermazioni di fede
nel «partito di tutti». E’ una lacerazione a cui il Pd arriva sul fronte
meno comprensibile per i suoi stessi elettori, neppure la legge
elettorale ma il «combinato disposto». E tuttavia resta una spaccatura
reale e dichiarata: l’avvio di un conto alla rovescia che, se non verrà
fermato prima, arriverà allo zero il giorno del referendum. Per il Pd,
chiunque vinca, sarà un’impresa restare unito dopo essersi presentato
diviso a una prova che riguarda non solo la modifica della Costituzione
ma, di fatto, la sorte di un governo guidato dal suo segretario.
La
scelta di portare la divisione latente alle estreme conseguenze l’ha
fatta Renzi, in conflitto aperto con l’uomo che guida a pari merito con
lui il fronte del Sì, Giorgio Napolitano. Per settimane l’ex presidente,
dopo aver garantito al premier un’esposizione poco consona al suo ruolo
di ex capo dello Stato, ha tentato di spingere il protetto a una
retromarcia il cui vero obiettivo era evitare che si arrivasse alla
Direzione di ieri. La sola via per evitare la frattura era assumere come
governo la proposta di legge elettorale di Speranza, o qualcosa di
simile. Napolitano lo aveva detto in modo esplicito qualche settimana fa
al Corriere e si può essere sicuri che lo ha ripetuto al premier con
formula anche più chiara. Renzi ha finto di muovere qualche passetto ma
nella sostanza è rimasto incrollabile. Ieri ha elencato almeno alcuni
dei motivi che spiegano una decisione tanto azzardata. Facendo proprie
le parole di Fassino, che si era lanciato in un’apologia dell’Italicum,
il premier ha confermato di credere nella logica di quella legge. E’
pronto a ritoccarla, però dopo il referendum e previe estenuanti
discussioni con tutte le forze politiche dalle quali emergerà quanto
ampio sia il ventaglio di proposte in campo. Non è disposto a rinnegarne
l’anima: il rifuto delle coalizioni.
In
molti, anche dall’interno della sua maggioranza gli hanno ripetuto ieri
che non si può governare con una percentuale di consensi ridotta
all’osso. Riprendendo le parole di Napolitano, hanno segnalato che per
quella via la ricerca della stabilità si rovescia nell’opposto. Parole
al vento. La priorità di Renzi è evitare le coalizioni e l’obbligo di
mediazioni che comportano: se il prezzo per raggiungere questo obiettivo
è governare con il 25% dei consensi è prontissimo a pagarlo.
La
stessa idea della politica gli rende impossibile accettare il
«consiglio» dell’ex presidente all’interno del Pd. Mediare una volta con
la minoranza significa accettare il rischio di doverlo poi fare sempre.
Un’eventualità che per il segretario del Pd è inconcepibile. Ieri si
sono confrontate due visioni opposte non della legge elettorale o delle
politiche di governo ma del partito: il solo elemento non ricucibile.
C’è
una motivazione in più, probabilmente, dietro la linea dura di Renzi:
poter presentare il referendum come una sfida tra lui, campione di tutto
ciò che è nuovo e dinamico, e i dinosauri come Bersani e D’Alema
potrebbe rivelarsi un’arma tra le più efficaci sul piano della
propaganda spiccia. E’ vero, il prezzo da pagare il giorno dopo il
referendum sarà probabilmente salato. Ma per un leader che si sta
giocando tutto, l’importante è arrivarci, a quel «giorno dopo».