martedì 11 ottobre 2016

Corriere 11.10.16
Ma il premier è soddisfatto: se rompono la colpa è loro
Il capo del governo convinto che la minoranza «abbia perso il treno»
di Maria Teresa Meli


ROMA «Non sanno veramente che cosa dire»: Matteo Renzi scuote la testa e sorride.
Il premier è convinto che la minoranza del Pd abbia perso anche questo treno: «Prima hanno detto sì alla riforma costituzionale, poi no, e adesso in Direzione non dicono niente, nonostante le roboanti interviste dei giorni scorsi».
A riunione finita, il presidente del Consiglio è soddisfatto. La Direzione del Pd, preannunciata come una resa dei conti da qualcuno, non si è rivelata tale. Ma non è per questo che il premier è convinto di aver portato a casa un risultato. L’esito gli era già chiaro.
Già, perché da qualche tempo in qua erano in corso degli abboccamenti tra minoranza e maggioranza Pd per arrivare addirittura a una proposta comune di modifica dell’Italicum. Una fetta degli oppositori interni era convinta che bisognasse trovare la strada del compromesso. Poi Bersani, preoccupato dalla «concorrenza» di Massimo D’Alema, ha spiazzato i suoi con un’intervista al Corriere e quell’accordo non ha visto la luce. Ma tutto il lavorio precedente aveva fatto intuire a Renzi che la Direzione sarebbe finita così come è finita. Senza un redde rationem .
Tanto, quel che in realtà interessava al premier non era una tregua a termine, ma «aver tolto dal campo la storia della legge elettorale». Che, secondo il presidente del Consiglio, è un «pretesto per quelli che vogliono la mia testa», e che «in molti casi sono mossi solo da motivi personali». E pur di ottenere questo obiettivo, a giudizio di Renzi, «sono anche pronti a sperare che vinca il No e a dare il Paese in mano a Di Maio».
Nella sua relazione d’apertura alla Direzione del Pd, il premier, però, non usa toni aspri ed evita la polemica diretta anche nei confronti di quel Bersani che ha preannunciato il suo No prima della riunione e che poi non è stato seguito da nessuno nel momento del dibattito. Sì perché questo era un altro obiettivo del presidente del Consiglio: dividere la minoranza. «I bersaniani non sono tutti compatti», dice il premier ai collaboratori. E infatti la deputata Enza Bruno Bossio in Direzione annuncia il suo Sì alla riforma.
Nella sala della riunione il premier ascolta il dibattito e prende appunti mentalmente. Gli piace Roberto Giachetti, perché dice quello che lui non può dire esplicitamente, e cioè critica la minoranza che, come spiega ai suoi Renzi, «vuole portare avanti il tormentone dell’Italicum e alzare l’asticella in continuazione». Apprezza Piero Fassino che «smonta pezzo per pezzo le obiezioni della minoranza all’Italicum». Arrivato al termine del dibattito, Renzi non alza i toni nemmeno nella sua replica. Non vuole la rottura con la minoranza. Anzi. Vuole dimostrare «quanti sono i no pregiudiziali». E, comunque, il presidente del Consiglio in quel consesso non sta parlando solo al Partito democratico. I suoi interlocutori sono anche gli alleati, che Renzi vuole tranquillizzare, facendo capire loro che l’Italicum non è intoccabile.
E il premier parla pure a Forza Italia: «Noi ci siamo detti disposti alle modifiche sostenute anche dal partito di Berlusconi, adesso saranno in difficoltà a doverci dire ancora di no».
Certo, Renzi non è un ingenuo, perciò sa bene che quella parte della minoranza che lo ha messo nel mirino «arriverà a ufficializzare il suo No a ridosso del referendum». Ma sa anche che da ora in poi «nessuno potrà dire che ho rifiutato il dialogo». L’onere di chiudere quella porta dovranno prenderselo gli altri. Magari quei bersaniani che, come osserva Renzi, «non hanno votato contro in Direzione nemmeno questa volta».