lunedì 10 ottobre 2016

Repubblica 10.10.16
Il cacciatore diventato preda
Da Jfk a Bill Clinton, sono tanti i “sexgate” alla Casa Bianca taciuti o perdonati
Ma i tempi sono cambiati e ora a Trump vengono contestate proprio le sue squallide intenzioni
di Vittorio Zucconi

WASHINGTON NELLO spazio di appena 3 minuti e 19 secondi, il tempo del videotape di Trump il Palpeggiatore, l’odiosa barzelletta dell’“uomo cacciatore” è diventata la cruda realtà dell’“uomo preda”.
NELL’ETERNO melodramma di sesso, politica e bugie ha cambiato musica: ora sono le donne a sparare sul cacciatore. Il tempo si è capovolto. Grazie a quel videotape, e alla slavina di altre registazioni audio una più disgustosa dell’altra, si è inaugurata l’era dello scandalo sessuale preventivo, meno cruento e tragico delle “guerre preventive”, ma non meno devastante per chi le deve combattere. Specialmente davanti a decine di milioni di spettatori che vedono Trump divincolarsi e gesticolare nei confronti tv con Hillary Clinton.
La ricca tradizione di presidenti americani risucchiati nei gorghi di sospetti e di accuse, dalle frequentazioni (poi dimostrate) di Thomas Jefferson con le proprie schiave africane all’indimenticabile abitino di Monica Lewinsky macchiato da Bill Clinton al quale Trump ora disperatamente si è appeso, vuole che si attenda almeno l’elezione e l’insediamento del sospettato per lanciargli contro le sexy bordate. Ma la presenza di una donna candidata alla Casa Bianca ha cambiato tempi e dinamica di quella classica “trappola del miele” usata per invischiare gli uomini di potere.
Basta confrontare il caso di Trump il Palpeggiatore con quello di John F. Kennedy il “cecchino” di dive, di pupe della mafia e di segretarie rincorse attorno alle scrivanie della Casa Bianca per misurare come in mezzo secolo sia cambiata la sensibilità morale — o moralista — del pubblico e dei media che lo dovrebbero informare. A “Jack”, a JFK, i giornalisti, i direttori, i corrispondenti accreditati che tutto sapevano, da Marlyn Monroe alle anonime visitatrici “ricevute” per rapidi incontri in piedi nelle cabine armadio della White House, tutto perdonavano e dunque tutto tacevano, nell’omertà fra cacciatori.
A Trump, che non è ancora e difficilmente sarà mai presidente, la muta delle giornaliste che ormai sono la maggioranza soprattutto delle “talking head”, delle ospiti dei canali di tutte notizie, non perdona le intenzioni, prima ancora dei fatti. Si sentono finalmente coperte, e giustificate, nella loro vendetta preventiva contro la tracotanza maschilista che Trump incarna, dalla presenza di una di loro, di una ”sister” sul podio del dibattito presidenziale. Le “anchor” più stagionate possono finalmente scatenare la propria indignazione, sempre repressa per non rovinarsi la carriera. Le più giovani, e le più esposte al genere di avances che Trump vanta e giustifica, nonostante siano aggressioni, vedono in lui un altro Bill Cosby, il finto ziobuono del telefilm che drogava le donne per stenderle; magari quel Roger Ailes, quel boss che, signore della rete allnews di Murdoch, la Fox, esigeva prestazioni erotiche per contratti e promozioni.
Dopo avere combattuto, e spesso perduto per generazioni, le battaglie contro il leggendario “sofà del produttore” di Hollywood dal quale era obbligatorio passare per ottenere una parte, le donne del XXI secolo hanno azzannato Trump per evitare che al massimo soglio laico e semireligioso dell’America mistica salga un uomo che porta la cultura maschilista delle conigliette, la certezza che ogni donna sia in fondo una cortigiana pronta a concedersi al sire, che i “no” delle donne nascondano un “sì” e che basti forzarle un po’ per farle cedere.
Un uomo che non vanta conquiste, ma reati come allungare le mani, che ride, approva e permette all’intervistatore radio Howard Stern di definire la figlia ancora ragazza Ivanka, “un gran pezzo di…”, che si vanta di avere comperato lo show di Miss Universo per irrompere nello spogliatoio delle concorrenti per misurarle e osservarle al naturale, che si attende e pretende che la vincitrice vada a letto con lui, «perché se dico di no poi poverina si offende». E cercava di far violenza a una donna sposata, Nancy O’Donnel, rinfrescandosi l’alito con le mentine, mentre la moglie, Melania, era incinta del loro unico figlio.
Anche oltre il territorio sempre molto oscuro fra moralità e moralismo, dove ogni sexy scandalo sempre si avventura anche in nazioni come gli Usa dove netta è la separazione fra la parola di Dio e le azioni di Cesare, la guerra preventiva contro l’ultimo dinosauro del maschilismo da taverna è un avvertimento e un segnale, tanto forte quanto la candidatura di una donna alla Casa Bianca. Il tempo della tolleranza per la prepotenza maschile del “tanto lo fanno tutti” è finito e il “cacciatore” può diventare preda. Il tramonto del presidente alfa che può scegliersi la lupa preferita si è chiuso con quel 199 secondi di vergogna in video. E il tentativo di demolire il totem del maschiaccio serva alle madri per mostrare ai figli maschi come siano cambiati i tempi.
Nessuno meglio di Hillary Rodham Clinton, che dovette per anni rincorrere e tentare, senza grande successo, di mettere il guinzaglio all’ultimo dei cacciatori di sottane alla Casa Bianca, lo sa. Riesumare, come ha cercato di fare Trump, i carnosi scheletri nell’armadio di Bill rischia soltanto di rafforzare nelle donne votanti il ricordo, il dolore, il rifiuto di un altro “cacciatore”. Fu proprio nelle ore più cupe e squallide del Sexgate di Bill, quando i media e il pubblico si crogiolavano nei dettagli più sordidi, che la popolarità di Hillary raggiunse i record con le americane. Perché le donne sapevano e capivano. Come ora sanno che è arrivato il momento di dire basta, prevenendo per non dovere poi curare...