Per il Dragone cinese è l’anno della frenata l’export giù del 10%
Il deprezzamento dello yuan non basta a recuperare vendite in Usa e nella Ue
di Angelo Aquaro
PECHINO.
Crolla l’export, scende l’import, salgono solo i prezzi delle case che
stanno gonfiando la nuova bolla: che cosa succede alla seconda economia
del mondo? La frenata della Cina che pesa su tutte le Borse significa
una cosa sola: che l’uscita dalla Grande Recessione ha imboccato una
curva pericolosa. Se si ferma Pechino, che le previsioni dell’Fmi
inchiodano al 6,6% di crescita quest’anno e al 6,2% il prossimo, è
finita. Del resto il 10% in meno dell’export di settembre, il sesto
segno negativo di seguito, si aggiunge al 2,8% patito ad agosto. E la
caduta dell’import dell’1,9% è forse anche più preoccupante se
confrontata all’aumento dell’1,5% sempre del mese precedente. Non che ci
si aspettassero chissà quali numeri: la domanda mondiale è bassa e
dalla Brexit, ai dolori delle banche europee, alle elezioni Usa basta
puntare un dito sul mappamondo per individuare un focolaio di
incertezza. Ma i problemi della Cina sono almeno tre. C’è la
sovracapacità industriale: si produce così tanto che non si cresce
all’estero nemmeno vendendo neppure sottoprezzo. Le imprese private
continuano a tirarsi indietro: gli investimenti crescono appena del 2,1%
e non basta che poi lo Stato metta sul piatto quello che manca (più
21,4% nello stesso periodo) perché pure in Cina i privati contano per il
60% del Pil e garantiscono l’80% dell’occupazione. E poi c’è la
maledizione del debito. Che è cresciuto del 465% in dieci anni e adesso
vale il 169% del Pil. Sono 18mila miliardi di dollari, quanto tutti gli
asset di tutte le aziende a comando statale. Aggiungendoci la febbre di
un mercato immobiliare in aumento da 13 mesi, con una media nazionale
del 10% e il picco del 30% a Shanghai, il crac prossimo venturo è già
qui. Perfino Wang Janglin, l’uomo più ricco della Cina, patron di Wanda,
l’impero multimediale partito proprio dal real estate, lancia l’allarme
sulla “grande bolla”. Il governo accelera sulla riforme, ma alleggerire
il debito permettendo il debt-swap, introdotto questa settimana tra
mille dubbi, non rischia di costringere le banche a ingoiarsi quote
azionarie di aziende ormai zombie? Non basta più neppure il trucco dei
50 giorni, tempo che gli analisti considerano passi tra un deprezzamento
dello yuan e l’altro: sarebbe questa la forza della moneta che dal 1
ottobre è nel basket nobile dell’Fmi? Il valore perduto nei confronti
del dollaro in un anno è del 3,62% (ora a 6,72), ma l’export negli Usa è
comunque crollato dell’8,1% e quello Ue del 9,8%. Speranze? Per tutti
una sola: che la Cina, frenando, non inchiodi.