venerdì 14 ottobre 2016

Il Sole 14.10.16
Se lo yuan debole non conviene ai cinesi
di Giuliano Noci

Sbaglia chi guarda al calo dell’export cinese come a un segnale ulteriore della fine di una luna di miele con la crescita che ha segnato gli ultimi 25 anni. Commette, a mio avviso, un errore anche chi ritiene probabile un percorso di svalutazione del renminbi; la Cina non può permetterselo sia da un punto di vista strategico che economico. Da un lato, infatti, occorre considerare l’entrata dello yuan nei Diritti Speciali di Prelievo: un fatto simbolicamente molto rilevante per l’ex Impero di Mezzo, che riduce la convenienza di comportamenti opportunistici orientati alla svalutazione del Renminbi. Dall’altro, una moneta debole non è conveniente per una Cina che comunque dovrà sempre più importare tecnologia dall’esterno per favorire un processo di trasformazione industriale fortemente orientato verso l’automazione e la produttività. Nel complesso, sbaglia dunque chi guarda a questa contrazione con uno sguardo “da fuori”, tradizionale - la lente del solo export - senza cioè considerare il cosidetto New Normal, ovvero la trasformazione sociale, economica e industriale in atto in Cina. Una trasformazione che punta tutto sulla possibilità di aumentare il valore aggiunto dei prodotti cinesi, l’adozione sempre più massiccia di tecnologie digitali e una crescita sempre più consistente dei consume interni. E che vede nell’esplosione dell’e-commerce e nell’espansione della classe media le due principali rampe di lancio che hanno proiettato la Cina, ed il suo 1 miliardo e 400 milioni di abitanti, nel pieno boom della domanda interna, che ancora oggi cresce a due cifre. Non si tratta di un cambiamento astratto. Un paio di esempi per tutti: in primo luogo l’adozione del piano Made in China 2025, la versione in salsa cinese del nostro programma Industry 4.0 che prevede centinaia di miliardi di dollari di investimento a sostegno del sistema industriale; in questi giorni, poi, sono state varate d’altro canto ben 26 misure volte a supportare la crescita degli investimenti privati, a migliorare i servizi finanziari nonchè a rendere più efficaci i servizi erogati dalla pubblica amministrazione alle imprese. Tutto questo non vuol dire che il quadro sia solo positivo; permangono, ad esempio, “lacci e lacciuoli” regolatori a frenare lo straordinario slancio dei consumi interni che - secondo la China National Tourism Administration - hanno visto mobilitare circa 600 milioni di turisti interni nel solo ponte del National Day dell’1 ottobre facendo registrare una spesa di circa 500 miliardi di yuan (74,97 miliardi di $). Sono, in particolare, i governi locali ad assumere in taluni casi decisioni dissonanti rispetto ai dettami del Piano Quinquennale: si tratta di azioni volte a limitare i gradi di libertà di operatori economici di settori specifici e/o a limitare le linee di finanziamento in taluni segmenti target. È questa la logica conseguenza dell’assetto amministrativo della Cina: il paese più federale al mondo in termini di autonomia concessa alle singole province. Serve dunque, probabilmente e quasi paradossalmente, un maggiore allineamento rispetto ai dettami del Piano Quinquennale.