Se lo yuan debole non conviene ai cinesi
di Giuliano Noci
Sbaglia
chi guarda al calo dell’export cinese come a un segnale ulteriore della
fine di una luna di miele con la crescita che ha segnato gli ultimi 25
anni. Commette, a mio avviso, un errore anche chi ritiene probabile un
percorso di svalutazione del renminbi; la Cina non può permetterselo sia
da un punto di vista strategico che economico. Da un lato, infatti,
occorre considerare l’entrata dello yuan nei Diritti Speciali di
Prelievo: un fatto simbolicamente molto rilevante per l’ex Impero di
Mezzo, che riduce la convenienza di comportamenti opportunistici
orientati alla svalutazione del Renminbi. Dall’altro, una moneta debole
non è conveniente per una Cina che comunque dovrà sempre più importare
tecnologia dall’esterno per favorire un processo di trasformazione
industriale fortemente orientato verso l’automazione e la produttività.
Nel complesso, sbaglia dunque chi guarda a questa contrazione con uno
sguardo “da fuori”, tradizionale - la lente del solo export - senza cioè
considerare il cosidetto New Normal, ovvero la trasformazione sociale,
economica e industriale in atto in Cina. Una trasformazione che punta
tutto sulla possibilità di aumentare il valore aggiunto dei prodotti
cinesi, l’adozione sempre più massiccia di tecnologie digitali e una
crescita sempre più consistente dei consume interni. E che vede
nell’esplosione dell’e-commerce e nell’espansione della classe media le
due principali rampe di lancio che hanno proiettato la Cina, ed il suo 1
miliardo e 400 milioni di abitanti, nel pieno boom della domanda
interna, che ancora oggi cresce a due cifre. Non si tratta di un
cambiamento astratto. Un paio di esempi per tutti: in primo luogo
l’adozione del piano Made in China 2025, la versione in salsa cinese del
nostro programma Industry 4.0 che prevede centinaia di miliardi di
dollari di investimento a sostegno del sistema industriale; in questi
giorni, poi, sono state varate d’altro canto ben 26 misure volte a
supportare la crescita degli investimenti privati, a migliorare i
servizi finanziari nonchè a rendere più efficaci i servizi erogati dalla
pubblica amministrazione alle imprese. Tutto questo non vuol dire che
il quadro sia solo positivo; permangono, ad esempio, “lacci e lacciuoli”
regolatori a frenare lo straordinario slancio dei consumi interni che -
secondo la China National Tourism Administration - hanno visto
mobilitare circa 600 milioni di turisti interni nel solo ponte del
National Day dell’1 ottobre facendo registrare una spesa di circa 500
miliardi di yuan (74,97 miliardi di $). Sono, in particolare, i governi
locali ad assumere in taluni casi decisioni dissonanti rispetto ai
dettami del Piano Quinquennale: si tratta di azioni volte a limitare i
gradi di libertà di operatori economici di settori specifici e/o a
limitare le linee di finanziamento in taluni segmenti target. È questa
la logica conseguenza dell’assetto amministrativo della Cina: il paese
più federale al mondo in termini di autonomia concessa alle singole
province. Serve dunque, probabilmente e quasi paradossalmente, un
maggiore allineamento rispetto ai dettami del Piano Quinquennale.