Yemen, così la guerra coinvolge gli Usa
Il tentativo di colpo di Stato dei ribelli sciiti si è trasformato in conflitto permanente
Dietro le violenze c’è lo scontro tra Teheran e Riad. A giovarne è Al-Qaeda
di Giordano Stabile
I
tre missili Tomahawk lanciati dal cacciatorpediniere americano Nitze
che ieri hanno distrutto postazioni radar dei ribelli sciiti Houthi
aprono una nuova fase del conflitto in Yemen. Per la prima volta
Washington ha colpito direttamente gli Houthi, dopo aver appoggiato per
un anno e mezzo la coalizione guidata dall’Arabia Saudita, senza farsi
coinvolgere in prima persona. Gli Stati Uniti hanno reagito con il raid
dopo che la loro nave militare era stata sfiorata da missili lanciati
dai ribelli. I radar servivano a puntare i bersagli in mare. Da una
prima lettura sembra che nello scambio di colpi nessuna delle due parti
abbia voluto «far male» davvero.
Lo Yemen è
il terzo fronte della guerra per procura fra Arabia Saudita e Iran, dopo
Siria e Iraq. Ma si innesta in un contesto molto particolare. Gli
Houthi sono gli eredi della corrente sciita zaydita, oltre un terzo
della popolazione yemenita. Hanno governato Sana’a per mille anni, dal X
secolo al 1962. Hanno lottato contro le potenze sunnite, l’Impero
ottomano, l’Egitto, e mantenuto la loro indipendenza. Dopo la
riunificazione fra Yemen del Nord e del Sud, nel 1990, sono stati
relegati ai margini, nelle regioni più povere e montagnose. La riscossa è
cominciata con la leadership di Hussein Badreddin al-Houthi che ha
fondato la confraternita Ansar Allah, l’ha trasformata in un movimento
politico, poi guerrigliero, ispirato agli Hezbollah libanesi. Al-Houthi è
rimasto ucciso nel 2004 e da allora il gruppo si fa chiamare con il suo
nome. Per sei anni il primo presidente dello Yemen unito, Ali Abdullah
Saleh, ha cercato di soffocare la ribellione.
Poi
è arrivata la Primavera araba. Saleh è stato esiliato. Il nuovo
presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi non ha mantenuto nessuna delle
promesse. I ribelli sono scesi dalle montagne, hanno occupato Sana’a e
cacciato Hadi nel febbraio 2015. Un mese dopo l’Arabia saudita formava
una coalizione di dieci Paesi sunniti e lanciava l’operazione «Tempesta
decisiva» per stroncare la ribellione. Gli insorti, guidati ora da Abdul
Malik al-Houthi, controllano un terzo del Paese e hanno creato un
Comitato rivoluzionario che funge da governo provvisorio. Alcune forze
sunnite, come la Guardia presidenziale dell’ex presidente Saleh,
appoggiano la rivolta. L’intervento saudita ha trasformato uno scontro
interno in un massacro. Sul terreno la coalizione ha perso 500 soldati e
decine di tank, è stata costretta a ritirarsi al di qua del confine. Le
città saudite di Najran e Jazan sono state attaccate dai guerriglieri.
Un’umiliazione per Riad.
La coalizione ha
lanciato una campagna di raid aerei sullo Yemen che non ha risparmiato
scuole, ospedali, monumenti storici. Le vittime civili sono stimate fra
tremila e seimila. Diecimila bambini, secondo l’Unicef, hanno perso la
vita sotto i bombardamenti o per malattie legate alla guerra. Sabato
scorso un raid ha preso di mira un funerale a Sana’a e ucciso 140
persone. L’Arabia saudita ha imposto un blocco terrestre, aereo e navale
che sta strangolando il Paese. Le navi della coalizione, più francesi e
americane, pattugliano il Mar Rosso, dove gli Houthi controllano ancora
due porti, per impedire l’arrivo di armi ai ribelli, in particolare
dall’Iran. È in questo contesto che dieci giorni fa gli Houthi hanno
colpito con uno Scud una nave da guerra emiratina e ieri c’è stato lo
scambio missilistico con gli Usa. E intanto Teheran ha inviato le sue
fregate Alvand e Bushehr nel Golfo di Aden.