venerdì 14 ottobre 2016

La Stampa 14.10.16
Yemen, così la guerra coinvolge gli Usa
Il tentativo di colpo di Stato dei ribelli sciiti si è trasformato in conflitto permanente
Dietro le violenze c’è lo scontro tra Teheran e Riad. A giovarne è Al-Qaeda
di Giordano Stabile

I tre missili Tomahawk lanciati dal cacciatorpediniere americano Nitze che ieri hanno distrutto postazioni radar dei ribelli sciiti Houthi aprono una nuova fase del conflitto in Yemen. Per la prima volta Washington ha colpito direttamente gli Houthi, dopo aver appoggiato per un anno e mezzo la coalizione guidata dall’Arabia Saudita, senza farsi coinvolgere in prima persona. Gli Stati Uniti hanno reagito con il raid dopo che la loro nave militare era stata sfiorata da missili lanciati dai ribelli. I radar servivano a puntare i bersagli in mare. Da una prima lettura sembra che nello scambio di colpi nessuna delle due parti abbia voluto «far male» davvero.
Lo Yemen è il terzo fronte della guerra per procura fra Arabia Saudita e Iran, dopo Siria e Iraq. Ma si innesta in un contesto molto particolare. Gli Houthi sono gli eredi della corrente sciita zaydita, oltre un terzo della popolazione yemenita. Hanno governato Sana’a per mille anni, dal X secolo al 1962. Hanno lottato contro le potenze sunnite, l’Impero ottomano, l’Egitto, e mantenuto la loro indipendenza. Dopo la riunificazione fra Yemen del Nord e del Sud, nel 1990, sono stati relegati ai margini, nelle regioni più povere e montagnose. La riscossa è cominciata con la leadership di Hussein Badreddin al-Houthi che ha fondato la confraternita Ansar Allah, l’ha trasformata in un movimento politico, poi guerrigliero, ispirato agli Hezbollah libanesi. Al-Houthi è rimasto ucciso nel 2004 e da allora il gruppo si fa chiamare con il suo nome. Per sei anni il primo presidente dello Yemen unito, Ali Abdullah Saleh, ha cercato di soffocare la ribellione.
Poi è arrivata la Primavera araba. Saleh è stato esiliato. Il nuovo presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi non ha mantenuto nessuna delle promesse. I ribelli sono scesi dalle montagne, hanno occupato Sana’a e cacciato Hadi nel febbraio 2015. Un mese dopo l’Arabia saudita formava una coalizione di dieci Paesi sunniti e lanciava l’operazione «Tempesta decisiva» per stroncare la ribellione. Gli insorti, guidati ora da Abdul Malik al-Houthi, controllano un terzo del Paese e hanno creato un Comitato rivoluzionario che funge da governo provvisorio. Alcune forze sunnite, come la Guardia presidenziale dell’ex presidente Saleh, appoggiano la rivolta. L’intervento saudita ha trasformato uno scontro interno in un massacro. Sul terreno la coalizione ha perso 500 soldati e decine di tank, è stata costretta a ritirarsi al di qua del confine. Le città saudite di Najran e Jazan sono state attaccate dai guerriglieri. Un’umiliazione per Riad.
La coalizione ha lanciato una campagna di raid aerei sullo Yemen che non ha risparmiato scuole, ospedali, monumenti storici. Le vittime civili sono stimate fra tremila e seimila. Diecimila bambini, secondo l’Unicef, hanno perso la vita sotto i bombardamenti o per malattie legate alla guerra. Sabato scorso un raid ha preso di mira un funerale a Sana’a e ucciso 140 persone. L’Arabia saudita ha imposto un blocco terrestre, aereo e navale che sta strangolando il Paese. Le navi della coalizione, più francesi e americane, pattugliano il Mar Rosso, dove gli Houthi controllano ancora due porti, per impedire l’arrivo di armi ai ribelli, in particolare dall’Iran. È in questo contesto che dieci giorni fa gli Houthi hanno colpito con uno Scud una nave da guerra emiratina e ieri c’è stato lo scambio missilistico con gli Usa. E intanto Teheran ha inviato le sue fregate Alvand e Bushehr nel Golfo di Aden.