Michael Sandel
«In Europa c’è il populismo Noi abbiamo la misoginia»
Il filosofo: «I progressi fatti sono il nemico da combattere»
di Serena Danna
Quando
si tratta di riconoscere il confine tra giusto e sbagliato, il filosofo
Michael Sandel è un nome di riferimento dagli Stati Uniti — dove
insegna all’Università di Harvard — fino alla Cina, Paese che nel 2010
l’ha nominato «personaggio straniero più influente dell’anno». Il
pensatore americano, definito dal Financial Times «una rockstar
dell’etica», si configura dunque come faro ideale per addentrarsi nella
controversa morale del «trumpismo».
Nonostante
le ultime rivelazioni sembrino confermare un comportamento spesso
misogino e sessista da parte di Trump, i maschi americani continuano a
stare con lui. Perché?
«Innanzitutto bisogna
chiedersi come mai, al netto degli scandali, quasi il 40% della
popolazione americana resti dalla sua parte. La risposta sta nei maschi
bianchi della “working class”, che vedono in Trump l’unica speranza per
riguadagnare il ruolo perso nella società americana. Le ragioni non sono
solo economiche ma anche culturali: quegli uomini che hanno perso il
lavoro a causa della globalizzazione, dell’outsourcing e del declino
dell’industria, sono pieni di risentimento verso le “minoranze” — gli
immigrati, gli afroamericani e anche le donne — ritenute responsabili di
aver progressivamente guadagnato status economico e culturale a loro
discapito».
Perché le donne?
«Sebbene
l’America abbia spesso corso più velocemente dell’Europa sul piano del
progresso civile, stiamo assistendo a un contraccolpo da parte della
popolazione maschile: una reazione al trend di crescita di eguaglianza
di genere. Il rifiuto urlato della globalizzazione, che in Europa si
esprime soprattutto con il ritorno del nazionalismo, qui trova nella
misoginia un nuovo terreno. I progressi fatti dalle donne negli ultimi
decenni sono per molti un nemico da combattere».
Crede che la presenza di Clinton, prima donna candidata alla presidenza, aumenti il risentimento ?
«Sicuramente
lo intensifica ma credo che il fenomeno sarebbe venuto fuori anche con
un uomo. È una situazione simile a quella che abbiamo vissuto con gli
afroamericani dopo l’elezione di Barack Obama, che ha generato un
inasprimento delle relazioni razziali negli Stati Uniti».
Per
quanto riguarda gli afroamericani, alcuni studiosi, tra cui Michelle
Alexander, sostengono che le vittorie sul piano dei diritti civili
abbiano portato a un nuovo livello la discriminazione razziale.
«È
così, e qualcosa di simile sta succedendo con le donne. Sono stati
raggiunti importanti obiettivi sul versante legale e dei diritti civili
ma adesso bisogna compiere un passo più lungo, perché si tratta di
raggiungere il pieno riconoscimento sociale e la piena eguaglianza
economica. Ci sono forze che remano in direzione contraria e hanno
trovato in Trump un simbolo».
Che ruolo possono svolgere gli «altri» uomini? Quelli, tanti, che non si sentono minacciati dalle conquiste delle donne?
«La
terribile misoginia rappresentata e veicolata da Donald Trump ha colto
di sorpresa molti cittadini, forse per questo non abbiamo ancora visto
una reazione vera, organizzata, che veda mobilitati uomini e donne
insieme».
Il fatto che sia una specie di choc potrebbe scuoterli?
«Dipende
da come risponderemo allo choc, se chiamerà a sé un atteggiamento di
costruzione sociale oppure no. Le conseguenze profonde che questa
terribile campagna porterà nel tessuto del Paese sono ancora
un’incognita».