La Stampa TuttoLibri 22.10.16
L’Occidente impari dalla Cina come vivere in modo sensato
L’Europa punta alla conoscenza snobbando l’unica cosa che in Oriente è basilare: la saggezza
di Gianfranco Marrone
Chi
è il saggio? Come ci è diventato? E perché? Certo, giornalmente di
persone sagge ne incontriamo pochine, e anche noi, dinnanzi allo
specchio, facciamo parecchia fatica a considerarci tali. Se saggio è chi
sa interloquire con cose come la Verità, Dio, l’Essere o la Libertà,
stiamo freschi. Dopo duemila e passa anni i filosofi non sono affatto
d’accordo nel definire queste strane entità. Anzi, uno come Agostino,
alla domanda «cos’è il Tempo?», rispondeva al modo di Jovanotti: «Boh!».
Il
fatto è che, come prova a spiegare il lavoro del filosofo e sinologo
francese François Jullien, Essere o vivere, l’Occidente non ha - non ha
mai avuto - alcuna idea di cosa sia la Saggezza: preferisce parlare di
Conoscenza, Scienza, Intelligenza e simili, interrogandosi appunto sulla
Verità o la Libertà, ma di fatto schivando l’unica cosa che in Oriente,
invece, è basilare: come comportarsi nella vita di tutti i giorni con
se stessi, con gli altri, con le cose che ci circondano? Come vivere
sensatamente piuttosto che essere oggettivamente?
Il saggio
insomma, per gli antichi cinesi, non è né filosofo né scienziato né
artista, meno che mai economista o politico. È semmai uno che, ha
osservato Jullien, è tutte queste cose insieme senza esserne però
nessuna. Con lo sguardo fisso, comunque, all’esperienza comune, a quel
quotidiano che è ripetitivo solo per chi, come noi, non sa apprezzarne
le sfumature trasformative, i dettagli nascosti di novità, i piccoli
segnali evolutivi.
Vivendo piuttosto che essendo, il saggio non
prende iniziative: lascia che le cose accadano, favorendone lo scorrere,
senza né rivendicazioni personali né ossessioni ontologiche. La realtà è
quel che accade, l’eventualità della vita, non quel che è sempre e
comunque allo stesso modo. Lo sapeva bene uno stratega come Sun Tzu,
celebre autore di una straordinaria Arte della guerra, che in battaglia
non attaccava mai senza comunque ritirarsi: lasciando l’iniziativa al
nemico, aspettava che si distruggesse da solo.
Dopo testi
fondamentali come Trattato dell’efficacia, Elogio dell’insapore, Figure
dell’immanenza, Nutrire la vita e molti altri, tutti dedicati a un
serrato confronto fra le forme del pensiero occidentale e quelle della
filosofia cinese classica, Jullien pubblica adesso una bellissima
sintesi del suo ventennale lavoro di ricerca, Essere o vivere, dove
ripercorre in una ventina di opposizioni concettuali i tratti
fondamentali che distinguono l’Europa dalla Cina, la conoscenza della
saggezza, l’essere occidentale - appunto - dal vivere orientale. Sembra
una tabella da dispensa universitaria, ma di grandissima chiarezza e
utilità. Così, i cinesi apprezzano la propensione piuttosto che la
causalità, l’affidabilità anziché la sincerità, la tenacia invece della
volontà, la regolazione alla rivelazione, l’allusivo all’allegorico,
l’ambiguità all’equivoco, l’obliquità alla frontalità e così via.
Prendiamo l’ultimo caso: laddove il conflitto occidentale si risolve
nella battaglia campale, con gli eserciti schierati uno di fronte
all’altro, in quella cinese sono i lati che contano, le incursioni
trasversali. Cosa che si ritrova tale e quale nel campo della tecnica
retorica: da noi gli argomenti si affrontano direttamente, in Cina vale
l’arte dell’indiretto, del dire una cosa attraverso un’altra. «Fare
rumore a Est per attaccare a Ovest», diceva ancora Mao Zedong.
Nella
paziente ricostruzione di queste opposizioni, semantiche più che
dialettiche (come i celebri yin e yang), Jullien mette in gioco
molteplici elementi - la riflessione filosofica, l’articolazione
linguistica, l’organizzazione antropologica -, mostrandone l’intima
correlazione. I concetti sono anche e soprattutto parole, e dunque al
tempo stesso forme di comportamento, prassi esistenziali. Cosa che rende
pressoché unico, e di grande interesse, il lavoro di Jullien - saggio,
perciò, che studia la saggezza. E al tempo stesso segnala, con un
problema delicato, un’opportunità conseguente. Mettere a confronto il
pensiero occidentale con quello cinese, difatti, vuol dire capire più a
fondo il primo attraverso il secondo e all’inverso.
A far da molla
rivelatrice, sostiene Jullien, sono proprio le incompatibilità
compatibili, le indicibilità dette, le intraducibilità a monte tradotte a
valle. L’impensato europeo è (parzialmente) pensato in Cina e
viceversa: cosa che non colma la lacuna fra i due universi culturali e
filosofici, ma che tuttavia riesce a metterli in correlazione. Dal
confronto nasce il nuovo, che non sta né qui né là ma a metà strada. Un
originale esercizio di pensiero: tenace, affidabile, allusivo. Per
vivere un po’ meglio. Ed essere molto meno.