La Stampa Tuttolibri 15.10.16
Il sogno di Kafka?
Le guide di viaggio low cost
Voleva diventare milionario scrivendo manuali turistici era alto, di bell’aspetto, gentile e divertentissimo
di Giorgio Fontana
A
pochi scrittori è stato riservato un destino di stereotipo simile a
quello di Kafka. Il suo nome evoca sconforto, autodistruzione e cupezza:
di lui si pensa che fu unicamente un individuo infelice, oscuro in
vita, e schiavo del potere paterno; e l’aggettivo che ne deriva,
kafkiano, è usato altrettanto a sproposito.
Per
correggere questa rappresentazione, Reiner Stach — il maggior biografo
dello scrittore ceco — ha raccolto «99 reperti» che illuminano gli
aspetti curiosi, ma non per questo meno caratterizzanti, della vita di
Kafka: regalandoci così un testo molto ben documentato, specie per
quanto riguarda l’apparato iconografico, e a tratti veramente spassoso.
Albert
Camus scrisse che l’opera di Kafka obbliga il lettore a rileggere. E
«l’ardente desiderio di umane spiegazioni che i suoi testi vanno di
continuo suscitando si riversò, per così dire, anche sulla sua esistenza
privata e sull’ambiente culturale, politico e sociale che lo
circondava», annota Stach. Fino a produrre appunto «un’immagine
stereotipata, che riduce Kafka a una sorta di essere alieno: […] un uomo
inquietante che suscita cose inquietanti»: mortificando così non solo
la sua prosa, ma anche lo scrittore stesso. Che invece fu un uomo alto,
di bell’aspetto e — per quanto certamente tormentato — gentilissimo e
dotato di grande vis comica.
Attraverso le numerose prove
documentarie, Stach si propone dunque di «scuotere il monopolio» di
un’immagine parziale con delle immagini di segno opposto: i suoi reperti
“ci mostrano lo scrittore in contesti insoliti, sotto una luce
insolita, e permettono di percepire tonalità registrate di rado”. Così
il saggista aggiunge un salutare punto interrogativo al preconcetto.
Aderendo ad esso, molti lettori pensano di sapere benissimo che «questo è
Kafka»; e invece qui tocca lasciare spazio allo stupore e domandarsi — è
davvero questo Kafka?
Lo è, decisamente. Certo, alcuni reperti
sono abbastanza noti: il suo grande interesse per la lingua ebraica, o i
testamenti che disponevano quali suoi scritti salvare e quali invece
distruggere (testamenti che furono traditi da Max Brod, peraltro dopo
averli pubblicati postumi). Ma altri fatti sono davvero sorprendenti:
uno su tutti, il rapporto di Kafka con la medicina. Diffidente nei
confronti delle terapie tradizionali, lo scrittore si affidava a vaghi
principi naturalistici — vivere «secondo natura» e senza stress — anche
per malattie come la sua tubercolosi. (Arrivò persino a rifiutare i
vaccini prescritti per legge). Poco nota è anche l’idea commerciale
elaborata da Kafka e Brod nel 1911, quando studiarono un nuovo modello
di guida turistica chiamato «A buon mercato»: una sorta di manuale
low-cost ante litteram. Il progetto non fu portato avanti, con grande
disappunto di Kafka: secondo lui, avrebbe potuto farli diventare
milionari.
Altri reperti ancora sono piccole, deliziose curiosità:
l’unica lettera in nostro possesso che gli inviò un lettore; i ricordi
della nipote Gerti; l’elenco degli errori geografici del romanzo
America; i suoi flirt e le sue puntate nei bordelli; la canzone
preferita dello scrittore (Addio piccola stradina di von Schlippenbach e
Silcehr); i soldi persi con Brod giocando d’azzardo a Lucerna. È
interessante anche apprendere che Kafka barò all’esame di maturità,
collaborando con dei ragazzi per sottrarre al professore di greco i
brani da tradurre alla prova. (Fra l’altro, il suo diploma fu
assolutamente nella media).
Stach dissolve un ulteriore equivoco:
certo Kafka non fu un autore di successo in vita, ma il suo nome
«rispondeva a una delle talentuose promesse su cui, di tanto in tanto,
si puntavano i riflettori della critica». Peraltro, l’unico
riconoscimento letterario che vinse in vita accadde per procura: il
premio Fontane 2015 fu assegnato a Carl Sternheim, ma solo a patto che
egli ne devolvesse pubblicamente l’importo a Kafka. (Lui, com’è
comprensibile, ne rimase molto ferito). Veniamo a sapere anche che Kafka
— guardato con affetto e simpatia da chiunque — era profondamente
odiato dal medico e scrittore Ernst Weiss a causa di una mancata
recensione; e che a sua volta, caso più unico che raro, detestava la
poetessa Else Lasker-Schüler.
Insomma, è davvero difficile
scegliere l’aneddoto più affascinante in una collezione così varia. La
descrizione della sua scrivania come se fosse un teatro, tratta dai
diari? Il necrologio scritto da Milena Jesenská, che rende giustizia
alla sua «coscienza tanto scrupolosa da rimanere vigile anche là dove
gli altri, i sordi, già si sentivano al sicuro»? Il suo attacco
incontrollabile di riso davanti al presidente dell’Istituto che gli
aveva appena confermato una promozione? Ci provo: per me è la difficoltà
di stabilire il colore dei suoi occhi. Per quattro conoscenti erano
scuri, per altri quattro erano grigi, per tre erano azzurri e per altri
tre invece castani. Il passaporto dello scrittore risolve la questione
nel modo più graziosamente kafkiano possibile: indicando il loro colore
come «grigio-azzurro scuro».