sabato 15 ottobre 2016

La Stampa Tuttolibri 15.10.16
Agguato al vecchio amico nei vicoli di Rione Sanità
Un uomo torna dalla madre a Napoli con “nostalgia”: lo aspetta una vendetta sospesa da cinquant’anni
di Sergio Pent

Napoli è un immenso abbraccio. Ora festoso ora malevolo, ma in grado di inglobare sogni, destini e memorie. Accade spesso che Napoli prenda il sopravvento anche su chi la racconta, come a Ermanno Rea, scomparso il 13 settembre, che nella sua odissea narrativa ha parlato di società, politica, lavoro, cultura e passioni parlando infine sempre della sua amata-odiata città.

Ermanno Rea era un intellettuale tutto d’un pezzo, uno che detestava i tranelli dell’antipolitica, un nostalgico del futuro, poiché le sue passeggiate narrative lasciavano sempre spazio alla speranza, alla volontà di riscatti anche improbabili, ma necessari a tenere vivi i sogni. Anche in questa metaforica «cronaca di una morte annunciata» che è il romanzo postumo Nostalgia, Rea non disdegna le interferenze d’autore, le deviazioni storico-antropologiche, le metafore che esplorano il cuore – o gli intestini – di una metropoli viva e degradata al tempo stesso.
La storia sarebbe – il condizionale è d’obbligo – quella di una vendetta «necessaria» attesa per quasi mezzo secolo. Quando Felice Lasco torna a Napoli dopo alcuni decenni trascorsi in giro per il mondo, ha sessant’anni e si esprime con un miscuglio di lingue eterogenee in cui fa capolino il vecchio dialetto del Rione Sanità, dal quale fuggì sedicenne dopo una brutta vicenda di sangue. Felice torna a Napoli per assistere l’anziana madre nei suoi ultimi passi, ma è consapevole che per lui non esiste salvezza. Oreste Spasiano – Malommo – il suo vecchio amico d’infanzia e di piccole delinquenze giovanili, lo uccide infatti con due colpi di pistola.
Quello che potrebbe sembrare un mistero napoletano – per citare lo stesso Rea – diventa invece il percorso di una memoria sociale in cui intervengono sia la vittima che l’assassino, divenuto un potente boss di quartiere, ma anche il narratore – un medico settantenne in pensione – e il parroco di Santa Maria della Sanità, don Lorenzo Rega: questi ultimi due accolgono il ritorno a Napoli di Felice come un segnale di riscossa, anche se l’uomo è solo in cerca di un perdono postumo, di una confessione in punto di morte.
Le voci del romanzo sono quindi quattro, e se in quella del prete si riflettono tante coraggiose iniziative di ribellione al sistema ramificato della malavita, in quella del medico volontario – laico e comunista – ci pare di ritrovare come sempre la voce di Ermanno Rea, con la sue acute osservazioni, gli amori e i rancori che hanno contraddistinto opere fondamentali come Mistero napoletano o La dismissione.
Il percorso narrativo risulta quindi ondulatorio e variegato, come il racconto di qualcuno a cui premono i fatti ma anche gli antefatti, le digressioni, le speculazioni ideologiche e sociali che hanno condotto a quegli accadimenti. Il lettore conosce fin da subito le reali motivazioni che hanno portato Malommo a freddare il suo amico d’infanzia – si può uccidere per amicizia? – ma come sempre prevalgono le ragioni di un cuore collettivo, quello di Napoli e, in particolare, del Rione Sanità in cui tutto è nato e tutto finisce, senza che quel senso di letale – ma anche disincantata – disperazione cambi registro, neanche dopo mezzo secolo.
Nostalgia è la storia, raccontata anche a ritroso, dell’esule Felice Lasco e della sua vita errabonda – bellissimo il rapporto d’amore nomade con Arlette, lungo una vita intera – ma è essenzialmente Napoli, se si può – e qui si può – provare nostalgia per la povertà, il degrado e i disagi di un’infanzia vissuta tra vicoli e muffe antiche. La promenade con delitto dell’ultimo Rea lascia infine prevalere – come sempre – le voci, i suoni, le risa e i pianti di Napoli, una città-romanzo che ha il dovere di provare una generosa nostalgia per il suo grande scrittore, salutandolo con affetto, ringraziandolo per esserci stato.