La Stampa 9.10.16
Renzi prova a stanare l’ex segretario e i compagni
Pronto a sacrificare il ballottaggio. Domani Direzione Pd
di Carlo Bertini
In
vista della Direzione di domani, chi è vicino al premier è scettico,
«se i vari democristiani al lavoro trovano un accordo con i compagni
bene, se no Matteo menerà fendenti. I sondaggi interni ci dicono che i
nostri elettori votano quasi tutti sì, allora perchè dannarsi se questo
strappo non si riverbera sul consenso?». Che il pensiero del “dopo” 4
dicembre alberghi in ogni testa e che il clima non sia disteso pure
nella tolda di comando, lo dimostra la battuta al vetriolo di Renzi
all’indirizzo di Franceschini ieri a Firenze: «L’ultimo ferrarese che è
passato di qui», gli ha detto alludendo a Savonarola che morì sul rogo,
«ha fatto una brutta fine, una finuccia...». Risate e lazzi, ma il
pensiero primario ora è vincere. Dunque, pur dovendo fare i conti con
Alfano e Verdini che devono garantire i loro senatori che c’è una
scialuppa di salvataggio pronta nel nuovo Italicum, il premier vuole
togliere ogni alibi alla minoranza dei suoi irriducibili oppositori.
La mossa del cavallo
«Io
sono pronto a discutere di tutto, credo che l’Italicum sia una buona
legge però sono disponibile a confrontarmi senza alcun tabù». Fissando
bene in terra alcuni paletti, come il sì a una legge che non abbia come
sbocco le larghe intese, domani il leader-segretario dovrebbe fare un
discorso di questo tenore, per tentare l’ultima conciliazione con l’ala
dura dei ribelli, quella che fa capo a Pier Luigi Bersani. Un discorso
che potrebbe dar la stura ad una rivoluzione di sistema, una mano tesa
di chi è pronto a sacrificare perfino il totem del ballottaggio
sull’altare di un accordo: apertura che i «compagni» potrebbero cogliere
al balzo come cambio di passo significativo - della serie mettiamoci al
lavoro insieme su un testo del Pd e andiamo a vedere le carte degli
altri - oppure chiudendo la porta, tempo scaduto, ormai siamo fuori.
Come si capisce, dai discorsi informali tenuti in queste ore dalle
«colombe» come Guerini o Delrio, o i leader dei «turchi» Orlando e
Orfini, le diplomazie si muovono sul filo e la situazione è tesissima.
Colloqui con tutti i gruppi
Sì
perché in queste ore tutta la battaglia dentro il Pd si gioca su una
parola, passare da una legge che «garantisce» la governabilità, ad una
che la «favorisce», ovvero dà un premietto in seggi a chi arriva primo,
ma non assicura la maggioranza.
La mossa per stanare Bersani e
compagni e metterli alle strette sul referendum, Renzi l’ha già in
tasca, se la giocherà in Direzione dipenderà dai toni e dal clima. A
sentire i suoi, è intenzionato a fare questa apertura: mostrandosi
disposto a dar vita ad un’iniziativa in Parlamento; ma anche a far
cadere un tabù, quello del doppio turno: la diga che in questa fase
separa le truppe del Sì da quelle del No nel grande esercito di graduati
e militanti del Pd schierati sul campo nella campagna referendaria. Sì
perché è noto che il ritocco del premio di maggioranza alla coalizione,
invece che alla lista, non basta ai «compagni» per abbandonare il fronte
del No. Serve il turno unico per poter dire che tutto il potere in
Italia non finisce nelle mani di una sola forza politica. Comunque sia,
mentre è sicura la decisione di affidare la verifica delle posizioni
degli altri gruppi sui tempi e sul merito a una delegazione Pd formata
da Guerini e i capigruppo Rosato e Zanda - qualcuno propone pure di
allargarla a esponenti della minoranza come Speranza o Cuperlo - si sta
valutando pure se mettere ai voti in Direzione un documento. Che
contenga le posizioni che Renzi ha assunto, prendendo atto delle
richieste di aggiornamento dell’Italicum anche nel gruppo Pd. «Usando
questa formula verrebbe superato il paletto sul secondo turno», spiega
un addetto ai lavori. «Perché mentre all’inizio prevaleva il dogma che
il ballottaggio è essenziale, oggi non c’è più il veto».