domenica 9 ottobre 2016

La Stampa 9.10.16
Matteo, ascolta Napolitano
di Andrea Giorgis

La riforma costituzionale ha diviso il Parlamento e rischia di dividere il Paese. Una buona riforma deve invece cercare di unire. Affinché ciò avvenga – e i cittadini possano esprimere un voto consapevole - è innanzitutto necessario concordare su quale sia davvero il suo contenuto. Il che può non essere semplice. La stessa disposizione giuridica può produrre effetti anche opposti a seconda del contesto in cui è fatta vivere, e per quanto riguarda la forma di governo e l’assetto democratico rappresentativo molto dipende dalle caratteristiche della legge elettorale.
La personalizzazione del referendum e prima ancora l’introduzione di una legge elettorale che determina di fatto l’elezione diretta del governo (in contrasto con la forma di governo parlamentare) hanno contribuito ad alimentare l’idea che la consultazione popolare concerna - non solo la riforma del Titolo V e il superamento del bicameralismo paritario - ma soprattutto un modello di democrazia rappresentativa (caratterizzato dalla progressiva marginalizzazione dei corpi intermedi e dalla verticalizzazione dei processi partecipativi e decisionali, oltre che dall’irrigidimento delle dinamiche parlamentari confinate a una sorta di attività “esecutiva”). L’ipotesi trova autorevole conferma nelle parole di D’Alimonte, su La Stampa e sul Sole 24ore, ad avviso del quale l’Italicum e la riforma costituzionale «sono strettamente connesse. Tanto connesse che vivranno o cadranno insieme». Perché «è la combinazione di Italicum e riforma costituzionale… a creare le condizioni di un diverso modello di democrazia» nel quale «attraverso il ballottaggio, i cittadini scelgono direttamente i governi».
Le affermazioni di D’Alimonte sono fondate? L’oggetto sostanziale, politico, del referendum è più ampio della riscrittura del Titolo V e del superamento di bicameralismo paritario? Io, purtroppo, credo di sì e l’indisponibilità del presidente del Consiglio e segretario del Pd ad ascoltare il suggerimento di molte autorevoli voci, a partire da quella dell’ex presidente Giorgio Napolitano, e ad assumere una concreta iniziativa parlamentare, volta a ricondurre la disciplina elettorale nell’alveo della forma di governo parlamentare, conferma questa convinzione.
Mancano quasi due mesi al voto, e il significato della consultazione può ancora essere corretto e specificato: se si vuole, la legge elettorale può ancora essere modificata, e il nuovo Senato e la riscrittura del Titolo V, per quanto fragili e a tratti un po’ confusi, possono ancora essere sintetizzati in qualcosa di più serio e convincente della «diminuzione del numero dei politici» e della riduzione «dei costi delle regioni». Perché si può ancora, e si deve, cercare di unire il Paese, scongiurando una lacerazione che rischierebbe di indebolire ulteriormente le istituzioni politiche.
Docente di diritto costituzionale e deputato Pd