La Stampa 8.10.16
Il paradosso del Marziano ostile al Pd 
di Mattia Feltri
Il
 paradosso di Ignazio Marino inizia dal prologo quando la nomenclatura 
del Pd lo ha scelto contro la nomenclatura del Pd. Il grande timoniere 
delle faccende romane, Goffredo Bettini, stratega delle sindacature di 
Walter Veltroni e Francesco Rutelli, aveva condotto Marino alla sfilata 
delle primarie col titolo di «Argan della scienza», in memoria di Carlo 
Giulio Argan, lo storico dell’arte arrivato in Campidoglio nel 1976. 
Marino, diceva Bettini, avrebbe restituito «libertà e leggerezza alla 
città» poiché era «l’irregolare». Sublime applicazione del teorema di 
Tomasi di Lampedusa: l’apparato prende uno ostile all’apparato per 
salvare l’apparato. Ed era il 2013. Il Movimento cinque stelle era 
calato sul Parlamento col suo venticinque per cento, per poi venire 
respinto nella capitale, dove Marino al ballottaggio ha preso più o meno
 le stesse percentuali guadagnate tre anni dopo da Virginia Raggi.
Volevano
 l’ufo? Lo hanno avuto. L’avventura romana di Marino ha l’andamento 
delle invenzioni di Anatole France, si innalza sui palchi della campagna
 elettorale ricordando i trascorsi nel Sessantotto, lui che è nato nel 
1955; attraversa Roma in bicicletta, con dietro la scorta meno allenata e
 boccheggiante, in dimostrazione di una sobrietà che, se motorizzata, ha
 la linea di una piccola, discreta Panda, purtroppo fissa nel parcheggio
 del Senato, sebbene il titolare non fosse più senatore; e con la 
medesima Panda su e giù nella zona a traffico limitato, ma col permesso 
scaduto. Cavalca con fanciullesco ardore le battaglie civili, per cui 
sfila con trans seminudi oppure festeggia con ghirlande le unioni civili
 sulla piazza di Michelangelo, trascurando o sottovalutando che da lì si
 vede il Vaticano, capace di terribili e inaudite vendette: «Chiaro?», 
dice il Papa in volo transcontinentale specificando che non è partito da
 lui, né dai suoi uffici, e contrariamente a quanto sostenuto in Comune,
 l’invito a Philadelphia per il sindaco. Sul quale sindaco si accanisce 
una certa sfortuna alla Buster Keaton, e dunque a ogni flagello lui 
risulta assente: arriva il classico nubifragio, con classici allagamenti
 e blocchi di metropolitana, e Marino è a Milano; Roma si incastra la 
notte di Capodanno e nei giorni successivi per la pirotecnica epidemia 
che decima i vigili urbani, e Marino è a Boston; in pieno autolesionismo
 da lupara capitale, ci si straccia le vesti per i pacchiani funerali di
 un Casamonica, e Marino è a fare immersioni nei mari del Sud.
Alla
 fine il marziano ha fatto il marziano, e che altro doveva fare? E come 
doveva finire se non in un delirio di scontrini - cioè la surreale e 
ormai sopita ossessione degli esordi a cinque stelle - e nel millesimo 
accesso di giustizialismo, ben cavalcato dall’apparato piddino, stanco 
del campione dell’antiapparato piddino. Ha vinto Raggi, Marino è 
innocente, tutti gli altri no.
 
