Corriere 8.10.16
Tra riforma e Campidoglio il pd ancora accerchiato
di Massimo Franco
Il
 ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sembra inaugurare un 
approccio più prudente e asciutto sul referendum. Parla di «occasione 
persa» se vince il No. Ma aggiunge anche che «i mercati stanno 
esagerando sulle conseguenze di un testa a testa tra il No e il Sì». 
Sono parole che mostrano la consapevolezza dei pericoli ai quali i toni 
da salto nel buio espongono l’Italia. Ma non sembra che le sue parole 
segnino un cambiamento di toni da parte dell’intero governo. Le 
polemiche sono dettate soprattutto dallo scontro tra Matteo Renzi e le 
opposizioni; e tra il premier e la minoranza del suo partito.
L’assoluzione
 di ieri dell’ex sindaco Pd di Roma, Ignazio Marino, cade sulla campagna
 referendaria come una tegola politica improvvisa. Rischia di dirottare 
l’attenzione dallo scontro tra Sì e No a quello dentro il Pd; e di 
indebolire gli attacchi Dem contro la giunta capitolina del M5S. Il 
premier fatica a correggere gli errori iniziali. Riesumando termini da 
«rottamatore», afferma che «il dibattito non sarà più Renzi contro il 
resto del mondo ma futuro contro vecchia guardia»; e rimanda 
correttamente al Quirinale «le valutazioni sulla durata della 
legislatura». Ma se è così, chiede Deborah Bergamini di FI, «perché 
Renzi si occupa solo di referendum?».
La risposta è semplice. 
Renzi lo fa perché il futuro politico suo e del governo è legato 
strettamente all’esito della consultazione del 4 ottobre. Lo sa bene 
lui, e lo sanno gli avversari che insistono su un «risultato che si 
giocherà all’ultimo voto», nelle parole di Alessandro Di Battista, del 
M5S. Proprio per questo, però, ogni vicenda laterale promette di essere 
infilata a forza nel dibattito referendario; e, in particolare, gli 
inciampi che riguardano Palazzo Chigi e il suo Pd. Il caso Marino ha 
tutte le caratteristiche per esserlo. La sua assoluzione riapre una 
brutta pagina del partito; e non solo a Roma.
Fa apparire 
strumentali gli attacchi che i Dem rivolsero al «loro» primo cittadino, 
con l’avallo di Palazzo Chigi, per il cosiddetto «scandalo degli 
scontrini». E complica la strategia del Pd proprio mentre attacca la 
giunta di Virginia Raggi e il M5S sullo sfondo della campagna 
referendaria. «I Cinque Stelle hanno vinto un biglietto alla lotteria», 
ironizza il premier. Ma chi li ha votati, è la sua tesi, al referendum 
voterà Sì. Il fatto è che tutta la filiera degli oppositori interni 
coglie al balzo la sentenza su Marino per chiedere a Renzi e ai vertici 
romani di scusarsi con lui.
Non è prevedibile che succeda. E 
l’ombra di quel caso si allungherà insieme con altre più recenti in 
vista della consultazione, come una dose supplementare di veleni: in 
arrivo in primo luogo dalla minoranza del Pd. Certo non placa le 
polemiche la precisazione del presidente del partito, Matteo Orfini, 
secondo il quale Marino fu costretto alle dimissioni «per la sua 
incapacità, non per le inchieste»: la stessa, aggiunge Orfini, che 
avrebbe favorito la vittoria di Beppe Grillo. Il tentativo di scaricare 
solo sull’ex sindaco, che pure ne ha, responsabilità accumulate in anni 
dalle giunte di centrodestra e di centrosinistra, si candida a diventare
 l’ennesimo boomerang.
 
