venerdì 7 ottobre 2016

La Stampa 7.10.16
Prodi: il mondo ha bisogno di una Cina più integrata
Pechino può favorire lo sviluppo globale attraverso il dialogo armonizzando allo stesso tempo la propria economia
di Romano Prodi

Al termine di una conferenza presso la Ceibs (China Europe International Business School) di Shanghai, dove ho insegnato negli ultimi cinque anni, uno studente mi ha posto davanti alla difficile sfida di descrivere in tre parole che cosa mi aspettavo dal futuro della Cina. Era una domanda complicata soprattutto perché esigeva una risposta semplice. Ho riflettuto pochi secondi e poi ho risposto che mi aspettavo «a growing cooperative China», cioè una Cina che con la sua crescita contribuisce a dare una spinta positiva all’economia mondiale e che mette in atto il suo contributo alla crescita promuovendo il dialogo e la collaborazione con gli altri protagonisti della vita politica mondiale.
La reazione alla crisi
Credo che una buona fonte per questa mia risposta siano stati proprio i lunghi colloqui avuti con i massimi responsabili [cinesi, ndr] durante un lungo periodo di anni, colloqui nei quali si cercava sempre di esaminare a fondo i cambiamenti del quadro politico ed economico mondiale e di tracciare i possibili scenari nei quali questi cambiamenti sarebbero potuti avvenire.
Il primo punto di riflessione non può che essere la dimensione quantitativa e la rapidità con cui, nell’autunno del 2008, la Cina ha reagito di fronte alla crisi mondiale decidendo, con un’operazione senza precedenti, di iniettare nel sistema economico un’enorme quantità di risorse aggiuntive, pari a 4 trilioni di yuan, il che equivale ad oltre il 15% del Pil cinese di allora. La decisione era stata presa in un momento in cui grandi erano le preoccupazioni a Pechino perché per la prima volta, dopo tanti anni, il sistema rallentava vistosamente la propria crescita e per la prima volta, da decenni, milioni di disoccupati affollavano le stazioni ferroviarie delle metropoli costiere per tornare verso le campagne.
Il piano di interventi straordinari si è concentrato verso un colossale programma di lavori pubblici (ferrovie, autostrade e altre infrastrutture), verso un inizio di rianimazione del sistema sanitario, nuovi investimenti nel sistema scolastico e sussidi agli acquisti delle abitazioni e dei beni di consumo. Si trattava di un’operazione complessa, dedicata a sostenere la domanda interna (in un momento difficile per le esportazioni) e a cambiare progressivamente i comportamenti dei cittadini cinesi da un’eccessiva propensione al risparmio verso l’aumento dei consumi.
Considero questa decisione estremamente importante perché ha dato un contributo non trascurabile a contenere le conseguenze della crisi mondiale e, ancora più, perché ha costituito l’inizio di un riequilibrio del surplus cinese che è stato fondamentale per impedire che il perpetuarsi degli squilibri precedenti mettesse in crisi l’intero sistema economico mondiale. In effetti la percentuale del surplus economico cinese, pur rimanendo ancora in zona di sicurezza, è calata da oltre il 10% al 2,6% del Pil.
Le sfide
Nonostante questi indubbi risultati, i problemi da affrontare non erano e non sono certo secondari. Le sfide sono ancora tali e tante che, nonostante i successi ottenuti, i massimi responsabili della politica cinese continuano a definire la Cina come un paese in via di sviluppo. L’ancora grande percentuale di addetti che operano nel mondo rurale e la differenza di reddito fra le diverse aree del paese sono il segno di un cammino percorso a grande velocità, ma non ancora compiuto.
A sottolineare la grandezza della sfida futura nessuno dei leader [cinesi, ndr] nasconde che, mentre la crescita delle zone costiere e nella maggioranza delle aree urbane è stata straordinaria, molte regioni rurali restano ancora arretrate e sottolinea con enfasi il fatto che quasi un decimo dei cittadini cinesi, nonostante i progressi senza precedenti, vivono ancora sotto la soglia di povertà stabilita dalle Nazioni Unite.
L’analisi [di Stefano Cammelli, ndr] conclude con parole estremamente significative, che sottolineano come i cittadini cinesi siano sempre più impegnati nello sviluppo politico e sociale del paese, come i diritti fondamentali e i loro interessi siano meglio protetti che in passato, ma mette anche in rilievo che le strutture politiche debbono essere grandemente migliorate. Un’analisi che ci porta direttamente verso i contenuti del dodicesimo piano quinquennale [per gli anni 2011-2015, ndr], dedicato a completare in modo organico la strategia per il passaggio da un modello di crescita fondato sulle esportazioni e sugli investimenti a uno sviluppo più equilibrato attraverso una progressiva espansione dei consumi interni.
La corsa dura ancora e vi sono buoni segnali che possa continuare anche in futuro, perché la direzione scelta era quella giusta e il livello di coesione sufficiente per permettere un progresso senza precedenti. Perché il cammino possa continuare fino al completamento della trasformazione totale della Cina è ora indispensabile che non si interrompa il processo di integrazione e di armonizzazione con l’economia internazionale.
Le paure
Ancora oggi succede che gli studenti mi chiedano quale potrebbe essere il futuro della Cina. Tuttavia quando ripropongo loro la necessità di una «growing cooperative China» capita talvolta che mi chiedano se questo significhi «subalternità» cinese nei confronti dell’Occidente anche nei prossimi anni. Dietro queste paure, nel comparire di un atteggiamento che potrebbe sembrare assertivo, io individuo l’urgenza, la necessità di procedere più velocemente e meglio sulla strada dell’integrazione. Una volta di più dunque desidero confermare lo stesso augurio che ho espresso all’inizio di queste riflessioni: conto proprio di vedere, ancora per molti anni in futuro, una Cina che cresce in modo cooperativo.