La Stampa 5.10.16
Dal Pd 2,8 milioni di euro per la campagna del Sì
400 mila al guru Messina
Il “Financial Times”: le riforme di Renzi dannose
di Ilario Lombardo
Il
referendum costituzionale è di tale importanza che Matteo Renzi non
vuole badare a spese. La campagna per il Sì pesa sulle tasche del
partito in termini di energie, uomini e soldi. Soprattutto, soldi. Com’è
noto, il premier, appassionato spettatore di politica americana, non è
andato a pescare Oltreoceano un nome qualsiasi, bensì Jim Messina, colui
che da tutti è considerato l’artefice della vittoriosa campagna di
Barack Obama nel 2012, quella più complicata, con un leader consumato
dalla prova di governo che doveva fare i conti con la realtà di un
congresso spaccato, dopo il trionfante mid-term repubblicano. Una
situazione che, fatte le debite differenze, non è troppo dissimile in
Italia. Il Paese è diviso e a Messina Renzi ha affidato il compito più
arduo: traghettare gli indecisi verso il sì. Il tutto per una parcella
di 400 mila euro.
È quanto prenderà il guru per la sua
super-consulenza, appena centomila euro in meno di quanto, mezzo milione
di euro, il Pd ha incassato con la raccolta delle 500 mila firme per il
referendum. La cifra sta circolando tra i parlamentari democratici
venuti a conoscenza che quei soldi saranno scuciti dai gruppi di Camera e
Senato assieme agli ulteriori 700 mila euro destinati alla campagna
pubblicitaria. Quella, per intenderci, che sta tappezzando le grandi
città, autobus compresi. Quella anche che ha fatto infuriare un po’ di
parlamentari della minoranza, bersaniani e non, per i toni dal sapore di
anti-politica che cavalcano i temi contro la casta tanto cari ai 5
Stelle. Marco Meloni, deputato fedelissimo di Enrico Letta, ha chiesto
apertamente su Twitter che venga ritirato lo slogan di Basta un Sì che
domanda all’Italia se si vuole «diminuire il numero dei politici». Tutti
i cartelloni sono firmati in basso dai deputati e dai senatori del Pd.
Per questo, Meloni si è sentito in diritto di chiedere al suo
capo-gruppo Ettore Rosato di cancellarlo: «Ok riduzione dei senatori,
non dei “politici”. Il manifesto è sbagliato. I politici sono tutti i
cittadini che fanno politica». Non c’è bisogno di un briefing con
Messina per capire che con l’aria che tira in Italia, la parola
“politici” accanto a “taglio” ha molta più efficacia di senatori, che
comunque verranno ridotti ma non aboliti.
Lo slogan non è andato
giù a molti altri democratici, curiosi di sapere di più anche su quanto
spenderà in tutto il Pd, alla fine. Sì, perché ai soldi dei gruppi ci
sono da aggiungere quelli del partito, che si aggirano attorno a 1,7
milioni di euro. Il gruzzolo finale dovrebbe fermarsi così poco sotto i 3
milioni di euro. «Abbiamo 14 milioni di euro a bilancio - spiega
Daniele Marantelli, tesoriere del gruppo Pd alla Camera, non del partito
- La campagna del referendum è perfettamente coincidente con le tipiche
attività del gruppo». E confermando il compenso di Messina aggiunge:
«C’è da dire che lo abbiamo pagato anche per la campagna No Imu lanciata
prima delle elezioni amministrative». «Peggio mi sento - risponde un
deputato bersaniano - visto come sono andate a finire quelle elezioni».
Di
referendum Messina però ne ha già vinto uno, nel 2014 accanto a David
Cameron contro l’indipendenza della Scozia. Renzi spera che possa
bissare in Italia. Il premier punta sul suo fiuto e su un marketing
massiccio che serve anche a coprire la campagna per il Sì dagli attacchi
di avversari e critici che spuntano quasi quotidianamente. Ieri è stato
il turno del Financial Times, autorevole quotidiano finanziario
britannico che senza troppo tatto ha definito le riforme di Renzi «un
ponte verso il nulla».