La Stampa 5.10.16
Le domande
Testo ingannevole o è stata rispettata la legge del 1970?
di Ugo Magri
Che cosa contesta il ricorso sul referendum?
Prende
di mira il quesito che troveremo sulla scheda. Dove ci chiederanno di
approvare o no la legge «sul superamento del bicameralismo paritario, la
riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di
funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione
del titolo V della parte II della Costituzione». Secondo i ricorrenti,
questo riassunto è fazioso e viola la legge 352 del 1970 sui referendum.
Cosa prescrive la legge?
La
sostanza dell’art.16 è che nelle leggi di revisione costituzionale si
dovrebbero elencare sulla scheda gli articoli da cambiare, indicandone
il contenuto; per le altre leggi costituzionali, invece, è sufficiente
specificare l’argomento cui si riferiscono. L’accusa dei ricorrenti (gli
avvocati Giuseppe Bozzi e Enzo Palumbo, cui si sono uniti Vito Crimi
per M5S e Loredana De Petris per Sel) è che la formulazione renziana non
indica gli articoli uno per uno, come secondo loro avrebbe dovuto, e
per spiegare il contenuto usa il titolo propagandistico della Boschi.
È un ricorso fondato?
Lo
deciderà il Tar del Lazio, seconda sezione bis, presieduta dalla
dottoressa Spanizzi. Il tribunale amministrativo deve anzitutto chiarire
se è competente a decidere. Certi giuristi sostengono di no, che i
ricorrenti hanno sbagliato indirizzo, avrebbero dovuto bussare invece
alla Cassazione che già aveva messo il suo timbro sul quesito. Sennonché
la legge sui referendum (art.12) non prevede alcuna forma di ricorso in
Cassazione, per cui Bozzi e gli altri non avevano altra possibilità che
contestare l’intero decreto con cui il Presidente della Repubblica ha
indetto il referendum. Per questo motivo si sono rivolti al Tar,
correndo i rischi del caso.
Nella sostanza i ricorrenti hanno ragione?
Il
governo tramite i suoi avvocati dirà di no, che pure in passato si era
fatto così: tanto nel 2001 quanto nel 2006 la scheda non indicava gli
articoli da cambiare ma semplicemente «il Titolo V», oppure «la seconda
parte della Costituzione»: formulazioni che guarda caso corrispondevano
ai titoli delle due riforme sottoposte a referendum. Sostiene il
premier: noi ci siamo regolati esattamente allo stesso modo, inserendo
il titolo della legge approvata dal Parlamento. Sottovoce, certi fautori
del Sì riconoscono che c’è stato un po’ di furbizia; salvo aggiungere
che la legge del 1970 non la vieta affatto, perché la formulazione del
famoso art. 16 è alquanto lacunosa. Prescrive semplicemente di
specificare sulla scheda l’argomento cui la riforma costituzionale
«concerne», ma non indica il modo in cui la riforma va sintetizzata.
Renzi l’ha riassunta a modo suo, e per il Tar non sarà facile metterlo
con le spalle al muro.
Quando la decisione?
La cattiva
notizia: qualunque cosa il Tar decida, ci sarà un appello davanti al
Consiglio di Stato. La buona notizia: diversamente da quella civile, la
giustizia amministrativa procede in fretta. Già oggi a mezzogiorno è
fissata la prima udienza.