La Stampa 4.10.16
Addio America
Gli studenti italiani trovano l’America in Cina
Pechino supera gli Usa come meta universitaria . Gli esperti: formazione inferiore, ma più chance lavorative
di Elisabetta Pagani
Trovano
lavoro più facilmente dei loro colleghi (il 78,2% ha un’occupazione a
un anno dalla laurea, mentre la media si ferma al 70,4%) e hanno
stipendi più sostanziosi (1386 euro netti contro 1132, calcola
AlmaLaurea). Gli esperti li descrivono «pragmatici» e attenti a
ritagliarsi un posto nel mondo che cambia, e si sposta a Est. Chi sono?
Gli italiani che decidono di svolgere un’esperienza di studio in Cina. E
quanti sono? Sempre di più.
Se solo 5 anni fa - secondo i dati
dell’ambasciata della Repubblica Popolare in Italia - erano 3516,
quest’anno sono circa 5600. E, sorpresa, se l’Europa - con Spagna,
Francia e Germania - continua a occupare il podio delle mete preferite
dagli universitari italiani, la Cina ha però scalzato gli Stati Uniti,
diventando il primo Paese extraeuropeo di destinazione.
Crescita costante
Da
un decennio il numero di studenti internazionali in Cina (la
maggioranza arriva dall’Asia, seguono Europa e Africa) cresce al ritmo
di un +10%, seppure con un rallentamento negli ultimi due anni. Nel 2015
- calcola il ministero dell’Istruzione cinese - erano 397.635 (e un
milione circa i cinesi che hanno fatto il viaggio inverso). Terza
destinazione universitaria globale dopo Usa e Regno Unito, la Cina, con
l’obiettivo fissato di 500 mila presenze nel 2020, mira a superare
Londra, complice anche la Brexit.
«Oggi la Cina non è più un mondo
altro - commenta Marina Timoteo, direttore di AlmaLaurea e
dell’Istituto Confucio presso l’Università di Bologna - ma un attore
sempre più integrato a livello globale nei flussi di mobilità degli
studenti stranieri. Una spinta notevole, poi, viene dagli Istituti
Confucio». Sono centri di lingua e cultura cinese creati e controllati
dalla Repubblica Popolare che diffondono conoscenza sul Paese ed erogano
borse di studio: sono 500 nel mondo, 12 in Italia, il primo proprio
dieci anni fa, quando la Cina - a livello universitario - ancora non
insidiava i «concorrenti». Nel 2005 gli italiani con in tasca una laurea
e un’esperienza all’estero erano il 7,9%, tra loro lo 0,9% a Pechino
(il 2,3% negli Stati Uniti): nel 2015 il, seppur lieve, sorpasso, con
gli Usa al 2,8% e la Cina al 2,9. Gli italiani che decidono di fare
un’esperienza in Cina provengono principalmente da lauree triennali
(69%) e studi linguistici (71%), e sono donne (71%, dati AlmaLaurea).
Ma
perché studiare in Cina? Una scelta pragmatica, concordano gli esperti.
«Le università cinesi non possono ancora competere con quelle
occidentali, basta pensare che i figli degli accademici cinesi vanno a
studiare all’estero - spiega Giovanni Andornino, docente di Relazioni
internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Torino e
coordinatore di TOChina, unità di lavoro sulla Cina attiva presso
l’ateneo -, ma stanno salendo negli indici internazionali. Si candidano
ad essere attori importanti per le prossime generazioni, soprattutto in
settori come architettura e tecnologia. Se si guarda al mondo del
lavoro, la Cina è fra i Paesi che offrono più opportunità: è un pezzo
importante del futuro e i ragazzi vogliono parteciparvi».
Una
scelta impegnativa, sottolinea, «perché non è un Paese semplice, sia dal
punto di vista politico, visto che tutto è sottoposto a uno stretto
controllo, sia ambientale, per i problemi di inquinamento. Ma in futuro
ci sarà più domanda di Italia in Cina, da qui la scelta di questi
ragazzi». Che, per lavorare in o con la Cina, devono impararne lingua e
cultura. Come ha fatto Kavinda Navaratne, project manager di TOChina che
ha alle spalle due esperienze a Pechino e Hangzhou: «Un programma di
scambio con casa pagata e contributo spese. E alla fine la laurea nei
due Paesi».
Circa 40 mila studenti stranieri in Cina (erano 8500
nel 2006) ricevono borse di studio dal governo (a cui vanno aggiunte
quelle delle università o degli Istituti Confucio), che lavora per
migliorare servizi e offrire corsi in inglese. Sforzi e investimenti per
ritagliarsi un nuovo ruolo da protagonista rispetto all’Occidente.