La Stampa 3.10.16
Spagna, Susana esce dall’ombra ma il futuro del Psoe resta incerto
La
nuova leader socialista, pupilla di González, davanti a un bivio
Appoggiare un governo a guida popolare o riportare il Paese al voto
di Francesco Olivo
Andalusa Nata a Siviglia il 18 ottobre del 1974, Susana Diaz era la segretaria generale della federazione del Psoe in Andalusia
Nel
momento più drammatico della riunione del Partito socialista che è
costata la pelle al leader, Susana Díaz ha preso il microfono: «Stiamo
facendo un figura terribile in tutto il mondo». Pochi minuti dopo il
segretario Pedro Sánchez annunciava le dimissioni. In mezzo a mille
incognite in Spagna c’è una (quasi) certezza: da ora in poi sarà la
presidente dell’Andalusia a guidare il Psoe. La forma è ancora tutta
vedere (segretaria? candidata premier?), ma quello che è chiaro è che
l’eterna promessa del partito non può continuare a comandare nell’ombra.
E il primo compito che le si prospetta è arduo, dovrà infatti
sciogliere il dilemma: favorire la nascita di un governo Rajoy (pur
mettendosi all’opposizione) oppure confermare il «no» e avventurarsi
nelle terze elezioni in un anno? Comunque vada, insomma, il rischio è
enorme e l’aspirazione di una vita può essere vanificata in qualche
settimana.
Alla leadership Susana (in Spagna la chiamano tutti
soltanto così con il nome di battesimo) punta da tempo, ma finora ha
preferito muovere le fila da Siviglia, alla guida non solo della
regione, ma anche della federazione decisiva in un partito di fatto
diventato a trazione meridionalista (Andalusia e in minor parte
l’Extremadura sono gli ultimi granai di voti). Questo lungo dilemma
sulla tratta Siviglia-Madrid non va scambiato per debolezza. Susana ha
tempra nella vita pubblica e in quella privata, tanto da affrontare e
vincere una campagna elettorale per le regionali incinta di 5 mesi.
Quando il bimbo è nato, la presidente si è presa poche settimane di
congedo e poi è tornata a palazzo San Telmo, lasciando il marito a casa
con la creatura. Susana Díaz è molto amata in Andalusia, ma nelle
regioni dove prevale il sentimento autonomista (Baleari, Paesi Baschi,
Valencia e ovviamente la Catalogna) i militanti soffrono i suoi appelli
ripetuti all’«unità del Paese». Il suo padre politico è il predecessore
andaluso José Antonio Griñán, ora finito sotto processo per uno scandalo
sui corsi di formazione. Ma il nome pesante che la sostiene è quello
dell’ex premier Felipe González, sivigliano come lei, grande vecchio del
partito, forse un po’ ingombrante («come quei vasi cinesi che a casa
non sai dove mettere» riconosce lui). È stato proprio Felipe a bloccare
la pupilla, quando Sánchez si è candidato alle politiche, ed è stato
sempre lui che martedì scorso ha aperto il fuoco di fila che ha steso il
segretario, «Pedro mi ha ingannato, mi ha detto che non si sarebbe
opposto al governo Rajoy». I ribelli, non è un mistero, erano guidati da
Siviglia.
L’altra grande occasione, non colta, di Susana è di due
anni fa, alle primarie per la scelta del segretario. I tempi non erano
maturi e Díaz decise di appoggiare senza passione l’outsider Sánchez. Ma
i voti andalusi per Pedro arrivarono con una condizione: fai il leader
del Psoe (per ora) e stop. Invece Sánchez, nonostante una sconfitta
elettorale seria a dicembre (il peggior risultato della storia
socialista), si fa venire la tentazione e a marzo prova a essere
investito premier dopo un accordo con i centristi di Ciudadanos. Il
Congresso dei deputati gli dirà di no, per colpa di Podemos. Ma dietro
al mancato patto con i post-indignados di Pablo Iglesias c’era sempre
lei, Susana. Il «governo del cambiamento» sognato fino a qualche ora fa
da Sánchez, infatti, aveva bisogno di due elementi, Podemos e i
nazionalisti catalani (diventati nel frattempo indipendentisti), e
mentre partono le trattative l’ala «susanista» sparava bordate contro
gli interlocutori del segretario, boicottando di fatto ogni possibile
alternativa a un governo di destra. Mentre il segretario cercava
un’alternativa ai popolari, Susana dichiarava «i cittadini hanno detto
che dobbiamo stare all’opposizione». Ma affinché ci sia un’opposizione,
serve un governo e il destino, non solo il suo evidentemente, dipende da
lei.