La Stampa 2.10.16
Picchiate e torturate
Il viaggio nell’orrore delle schiave del sesso
“Vi prego liberatemi da questa vergogna”
Partite dalla Nigeria e dall’Est vivono sotto ricatto Maimuna salvata a Perugia dalla Giovanni XXIII
di Andrea Malaguti
Maimuna
 la salvano in un modo che buca il cuore. Perché la sua è una storia 
sbagliata che alla fine diventa giusta. O per lo meno sopportabile, 
perché in effetti «giusta» non può diventarlo più. Non si sa ancora 
quanti anni abbia. Ma presumibilmente, osservandola nella notte di 
questo sabato bagnato, mentre tiene gli occhi bassi nel gigantesco 
parcheggio di Perugia dove fino a pochi minuti fa si vendeva per trenta 
euro a clienti bavosi , non arriva a diciotto. È sottile, spaventata, 
piena di incubi e di freddo ed è evidente che oramai considera la sua 
bellezza una complicazione sgradita.
Le avevano detto: sei carina,
 ti portiamo in Italia e ti troviamo un lavoro. Con gli occhi grandi che
 hai ci sarà la gara per farti fare la baby sitter. O magari 
l’assistente parrucchiera. Farai i soldi, aiuterai i tuoi. Gran posto 
l’Europa.
È partita da Benin City quattro mesi fa. Da tre è 
costretta a battere per ripagare un debito di 50mila euro che non sapeva
 neanche di avere contratto. «O ci dai i soldi o massacriamo la tua 
famiglia». Intanto hanno violentato lei, che in Italia è arrivata via 
mare, passando dalla Libia e adesso vuole solo che tutto finisca prima 
che il dolore la divori.
È diventata una delle centomila ragazze 
di strada vittime della tratta e del racket che si vendono per 
magnaccia, maman, padroni, boss e padroncini, quasi tutti controllati 
dalla mafia albanese, da Torino a Palermo. Il 36% di loro viene dalla 
Nigeria come la piccola Maimuna, il 22% dalla Romania, il 10,5% 
dall’Albania, il 9% dalla Bulgaria e il 7% dalla Moldavia. Le restanti 
sono ucraine, o magari cinesi. Le italiane (che sempre più spesso 
lavorano in casa) sfiorano appena l’1%. C’è crisi per tutto. Non per il 
commercio sessuale. Importiamo ragazzine come se fossero divani o 
prosciutti. Le statistiche del Rapporto Globale sul traffico di esseri 
umani, unite a quelle del Ministero della Giustizia fanno impressione, 
ma non bastano a far sì che lo Stato si muova.
Allora si muove 
l’associazionismo, a partire dalla Comunità Giovanni XXIII, di Rimini, 
quella fondata da don Benzi e che adesso si affida a don Aldo Bonaiuto, 
un prete quarantenne che di don Benzi era il braccio destro e che ogni 
fine settimana, da quattordici anni, a mezzanotte si presenta al 
parcheggio di Pian di Massiano, a Perugia appunto, per fare una cosa 
apparentemente velleitaria: pregare.
Organizza un grande cerchio 
con una trentina di amici, frati, volontari e due o tre ragazze che 
negli anni l’associazione ha portato via dal marciapiede, poi accende il
 microfono per le Ave Maria. Prima però grida: «Sisters, sisters, 
sisters, come here», come se stesse parlando con la notte. Invece parla 
alle nigeriane che per mezzora lasciano la strada, escono dal bosco e 
dalle macchine e si uniscono a lui cantando, arrivando alla spicciolata 
sotto gli occhi dei papponi che guardano torvi da lontano. Stanotte sono
 otto. E sembrano tutte bambine.
Maimuna finisce per caso di 
fianco a Maleva, che è fragile come uno spaghetto e di anni ne ha 22 e 
da poco più di dodici mesi vive in una delle case della Giovanni XXIII. 
Anche lei viene da Benin City. Anche lei è stata violentata in Libia 
dopo avere attraversato il deserto nascosta sotto una coperta nel retro 
di un pick up. «Poi mi hanno chiuso in un compound assieme a centinaia 
di persone di cui non capivo la lingua, finché un giorno ci hanno detto:
 correte verso il mare, la barca vi aspetta. Ho sgomitato, mi sono 
aggrappata a una corda, sono salita a bordo. Non c’era cibo, non c’era 
acqua, solo il mare sterminato. Mi sono affidata a Dio, finché una nave 
ci ha preso a bordo vicino a Lampedusa. Mi hanno curato e dato da 
mangiare. E finalmente ho dormito. Poi sono scappata verso Torino. 
Credevo che là ci fosse il lavoro che mi avevano promesso. Invece c’era 
solo la strada. “Ci devi 35mila euro. Se non ce li dai indietro 
uccidiamo tua sorella piccola”. Piangevo. La maman, la donna che ci 
controllava in casa, mi ha insultato pesantemente prima di aggiungere: 
che piangi a fare, a tutte noi è andata così. Pensavo che volevo morire.
 La morte non poteva essere peggio di quello schifo. Ma è arrivato don 
Aldo, il mio nuovo papà. E con lui Marina, la mia mamma. E ho trovato 
nuove sorelle e nuova speranza. Così non voglio più morire».
È 
questa la storia che racconta a Maimuna ed è come se le stesse dando 
dell’acqua dopo la traversata del Sahara. Anche don Aldo parla con la 
bambina. «Vuoi che qualche pazzo di strada distrugga la tua vita? Vuoi 
davvero stare dentro questo orrore? Vieni con noi. Ti proteggiamo. Ti 
diamo un lavoro. Ti facciamo vedere che l’Italia può essere anche un bel
 posto». Lei ha sul viso un’espressione molto compresa, perché sa che 
ogni errore le può essere fatale. Pensa. Guarda per terra. Prende il 
cellulare. Si allontana dicendo, «ho un debito, come posso fare?». 
Chiama la maman, è prigioniera. Quella le dice: «torna subito qui». Ed è
 come se la paralizzasse. «Che succede alla mia famiglia?», chiede 
Maimuna a don Aldo. «Sanno che sei in strada?». «No». «Non succederà 
niente a loro e se vieni con noi potrai chiamarli per raccontare che va 
tutto bene». Sono tante quelle che la Giovvanni XXIII ha salvato - 
salvato sì - ma tante sono scappate. E quando scappano è difficile che 
finisca bene. «Che cosa vuoi fare piccola Maimuna?».
I bordelli olandesi
Succede
 raramente che una ragazza dica di sì. Però succede. «E’ la nostra pesca
 miracolosa», dice don Aldo, che nel pomeriggio era seduto in una delle 
sue case protette per spiegare ancora una volta la guerra che combatte 
ogni giorno. «Abbiamo fatto anche una campagna pubblicitaria. Si chiama 
“Questo è il mio corpo”, perché il racket della prostituzione viola la 
dignità umana e i clienti sono complici. Quando sento parlare di ritorno
 alle Case Chiuse mi viene la pelle d’oca. È gente che dice le cose 
senza sapere niente. Assieme alle organizzazioni criminali dobbiamo 
punire i clienti». Tu sei un prete cattolico don Aldo, è ovvio che parli
 cosi. «Lo sono. Ma sono soprattutto una persona che cerca una risposta 
pratica. E guardo quello che succede nel resto del mondo». Cita i dati 
del Dutch Policy on Prostitution, osservatorio di Amsterdam: il 75% 
delle donne presenti nei bordelli olandesi e tedeschi è lì contro la 
propria volontà. «Non è un caso se Germania e Olanda sono in testa alle 
classifiche della tratta». E poi racconta i casi di Svezia, Finlandia, 
Norvegia, Islanda, Irlanda del Nord e Francia dove il «modello nordico» 
punisce anche il cliente con multe salate. «In Svezia la prostituzione è
 diminuita del 65%, in Norvegia del 60%. Anche l’opinione pubblica che 
prima vedeva la multa come una violazione delle libertà personali oggi 
ha cambiato idea. Noi in questi anni abbiamo accolto più di settemila 
ragazze. Ottocento in questa casa. Credi che ce ne fosse anche solo una 
che si vendesse per scelta? Ma non importa che tu creda a me. Importa 
che tu parli con loro». Loro, che in casa vivono come si fa nelle 
famiglie. Condividendo il cibo, le fatiche domestiche, i tentativi di 
rinascere, l’impossibilità di dimenticare.
L’orecchio strappato
Ci
 sono le ragazze nigeriane. E ci sono le ragazze dell’est. Nadia viene 
dalla Romania e porta i capelli legati in uno chignon che le lascia 
scoperte le orecchie. Uno gliel’hanno dovuto ricostruire. Il destro. «Me
 l’hanno strappato con una pinza». Ha gli occhi mobili, inquieti. Anche 
se deve raccontare un incubo che ha quasi dieci anni. Era appena 
diventata maggiorenne. «Due persone che allora consideravo amiche, anzi 
parenti, sono venute a casa e mi hanno detto: in Italia c’è 
l’opportunità di guadagnare. Pensavo di venire a fare la baby sitter. Mi
 hanno sbattuta in strada. Con violenza. Io mi prostituivo e loro mi 
controllavano. Un giorno non ce l’ho fatta più. Volevo smettere e loro 
mi hanno picchiata selvaggiamente. Con un bastone. Dopo avermi strappato
 l’orecchio con le pinze e i capelli a mani nude. Me li hanno portati 
via a ciocche». Le hanno bucato un polmone, rotto tre costole, spaccato 
le ginocchia. Ma quella sera stessa l’hanno costretta a tornare a 
vendersi. Le ferite alle ginocchia le hanno chiuse con del nastro 
adesivo. Era più morta che viva. Ma un cliente l’ha caricata ugualmente.
 È svenuta. A quel punto le sue compagne hanno chiamato la polizia. 
Quando l’hanno fatta uscire dalla macchina rantolava. All’ospedale i 
medici hanno detto solo: «Pochi minuti ancora e ci restava secca». Oggi 
anche lei va in giro per strada con don Aldo a parlare con le 
connazionali. E a farle ragionare è la più brava di tutti. «E’ una cosa 
che dà un senso alla mia vita. Ma se devo andare in giro in città per 
conto mio preferisco ancora di no». È bella e ferita. Si alza per 
preparare la cena.
La storia di Ivana è diversa solo in qualche 
dettaglio. La mamma alcolizzata, la vita con la nonna, la promessa di un
 lavoro, le botte e le lacrime. «Mi ha portata in Italia un’amica 
d’infanzia. Mi facevano prostituire a Lido di Savio minacciando di 
ammazzare mia nonna. Ed è lì che un signore mi ha tolto dalla strada e 
mi ha fatto arrivare a Rimini». È costretta a portarsi dietro questa 
amarezza strisciante chissà fino a quando, ma giorno dopo giorno la sua 
vita prende una forma diversa.
Sono le dieci di sera. Don Aldo è 
pronto alla partenza per Perugia. Ivana guarda Maleva. «Forza, che è ora
 di andare». E lo dice con un’ombra di tenerezza intorno alla bocca.
La scelta di Maimuna
Perugia
 è divisa in due zone. Da una parte le bianche, dall’altra le nere. Don 
Aldo si ferma prima dalle bianche, parla con loro, mentre i magnaccia 
gli accendono addosso i fari. Le ragazze dicono: «E’ uno squallore, ma 
dobbiamo pagare l’affitto, mantenere il bambino», sono turbate, 
sbrigative, tristi, ma nessuna di loro rifiuta il numero della Giovanni 
XXIII. «Chiamerai?». «Chi lo sa». La prossima settimana i volontari 
dell’associazione torneranno e, conoscendo in anticipo l’inarrivabile 
bellezza dei volti mai visti, se non troveranno loro parleranno con le 
colleghe. Intanto don Aldo sale a Pian di Massiano, la preghiera inizia,
 le nigeriane arrivano, e Maleva parla con Maimuna, che lì per lì si 
accontenterebbe banalmente di un luogo dove sia possibile sparire, ma 
che adesso pensa che forse esiste qualcosa di più. Don Aldo le dice 
ancora: «Dai vieni». Lei risponde d’istinto: «Va bene, portatemi via» 
con la voce sottile. Apre il cellulare, toglie la scheda che consente 
alla maman di controllarla. Due papponi la guardano male, ma c’è troppa 
gente per intervenire. Maleva le apre lo sportello. E prima di farla 
salire l’abbraccia.
 
