domenica 2 ottobre 2016

La Stampa 2.10.16
La scommessa del popolo di Orban
Edit Vrody: “Macché razzisti, salveremo l’Ue”
Oggi in Ungheria il referendum sulla redistribuzione dei profughi. Il consigliere del governo: noi abbiamo un piano, la Merkel ha fallito
di Monica Perosino

Oggi più di 8 milioni di ungheresi sono chiamati a rispondere sul piano di redistribuzione dei migranti tra i Paesi Ue voluto da Bruxelles. Il quesito del controverso referendum indetto dal governo nazional-conservatore del premier Viktor Orban è stato definito da più parti «ostentatamente xenofobo» e populista.

L’Ungheria avrebbe dovuto farsi carico di 1294 richiedenti asilo sui 160 mila da redistribuire da Italia e Grecia tra tutti i Paesi membri. Una decisione contro cui Budapest ha già fatto ricorso alla Corte Ue.
«Il vero populismo è nel Dna dell’Europa occidentale». Edit Vrody, 53 anni, imprenditrice, è una delle poche elettrici di Orban che ha voglia di parlare. Appoggiata alla sua bicicletta osserva da lontano una manifestazione di protesta di fronte al Parlamento: «Scriva, scriva pure il mio nome, è ora di finirla con questa farsa: nessuno si è preso la briga di capire cosa sta dietro questa consultazione, è demagogia al contrario. I veri populisti sono Merkel, Juncker e Hollande». Si allontana, mormora ancora: «E vorrebbero pure farci passare come razzisti xenofobi».
Per l’Europa sarà una prova cruciale, un altro test pesante dopo lo choc Brexit. Se, come da pronostici, vincerà il no (da alcuni sondaggi dato al 95%), la piccola Ungheria avrà recapitato il suo messaggio all’Unione in modo forte e chiaro, il segnale dei Paesi dell’Europa Centrale e del gruppo Visegrad che rivendicano la loro centralità nel club dei 27. E ieri, con un tweet, il leader euroscettico olandese del Partito per la libertà Geert Wilders ha tenuto a ribadire che «un no ungherese equivale a un no a Bruxelles». Anche se Orban continua a dichiarare di essere «fermamente europeista».
L’unica incognita riguarda il quorum del 50% necessario perché il voto sia valido (anche se resta comunque senza validità giuridica). Orban lo considera un voto di «fatale significato» per l’identità cristiana del continente europeo minacciato da epocali migrazioni.
Anche Laszlo Rovac, 47 anni, medico, voterà no: «La spaccatura in questo Paese è tra chi vota di pancia e chi usa la testa. Si confondono i piani e se serve alzare i toni per far capire agli ungheresi il rischio che corrono ben venga, meglio essere considerati xenofobi da Bruxelles che andare in rovina».
Quella del referendum è stata una campagna dura, fatta di proclami apertamente e - orgogliosamente - nazionalisti e xenofobi, culminata con l’ultima spallata del premier Orban per spingere quanti più ungheresi possibile a dire no: «Dovremmo radunare tutti i profughi - ha detto il primo ministro magiaro - e deportarli. Non in altri Paesi Ue come vorrebbe Bruxelles, ma in territori fuori dall’Europa, in campi allestiti su qualche isola o in un territorio del Nordafrica, sorvegliati da guardie armate».
I punti chiave della campagna referendaria, per la quale il governo ha speso 12 milioni di euro, sono semplici e, a quanto pare, efficaci: i migranti rubano il lavoro agli ungheresi, distruggono la cultura occidentale, vogliono mettere in pratica la sharia. L’accostamento profugo-terrorista è stato ribadito da tutte le forze politiche della maggioranza, dai consiglieri comunali ai deputati del Parlamento.
Balazs Orban, direttore del think tank conservatore Szazadveg, che dal 2010 è consulente per la politica estera e interna di Orban, spiega la linea del premier: «Sui migranti ci sono due strategie possibili: quella di Merkel, che confonde l’aiuto umanitario con la politica, e non fa che accogliere i migranti in Europa, quasi invitandoli». In questa prospettiva le quote di redistribuzione sono una «conseguenza logica». Poi c’è la strategia di Orban «che non confonde la pancia con la testa, l’aiuto umanitario con la gestione dei flussi. Orban è un politico, e agisce di conseguenza». La parola d’ordine è legalità: «Agire con piani a medio termine per risolvere il problema, evitando che masse di migranti si riversino illegalmente in Europa, chiudere i confini e parallelamente stabilizzare la situazione in Medio Oriente». In quest’ottica aggiunge l’analista, «questo referendum è importante per spostare l’attenzione degli europei dalle politiche di pancia di Merkel a quelle razionali, le uniche possibili. In questo senso il risultato di oggi è importante, è il messaggio più che il calcolo dei voti, a pesare». Il consulente del governo ammette che la propaganda xenofoba anti migranti ha raggiunto picchi «forse eccessivi», ma ribadisce: «Fuori dalla demagogia, chi può negare che due milioni di profughi in Europa non abbiano creato enormi problemi e messo a rischio l’idea stessa di Europa? Gli enormi flussi hanno minato la coesione interna, favorito la nascita di partiti populisti e ultranazionalisti, portato alla sospensione di Schengen e, non ultimo, alla Brexit».