domenica 2 ottobre 2016

La Stampa 2.10.16
Spagna, i socialisti silurano Sánchez
Ora Rajoy spera nell’intesa di governo
di Francesco Olivo

Uno dei partiti più antichi d’Europa è ridotto così: fuori dalla sede militanti che insultano i dirigenti, dentro un’eterna assemblea rissosa, dove si litiga su ordini del giorno e per il collocamento di un’urna. Poi, dopo 11 ore di tensione, il leader se ne va. Il glorioso Psoe, il Partito socialista operaio spagnolo, fondato nel 1879, 11 milioni di voti nel 2008 (5,4 oggi), è sul bordo della scissione. Il segretario Pedro Sánchez è stato rimosso da parte di un ampio settore, guidato dalla presidente andalusa Susana Díaz con l’alto patrocinio dell’ex premier Felipe González.
Il colpo di mano («di Stato», azzardano i tifosi di Sánchez) si è compiuto dopo una settimana di passione, partito mercoledì con le dimissioni della metà dei componenti della segreteria, ma il leader si è barricato, in parte anche fisicamente, nella sede della Calle Ferraz a Madrid. Poi nella serata di ieri il segretario è stato sconfitto in una votazione a mano alzata e si è arreso: «È stato un onore», ha detto con stile. Ma la domanda ora è: il nuovo partito socialista darà il via libera a un governo Rajoy? Per ora nessuno si sbilancia. Il Psoe deve scegliere di che morte morire: o astenersi per consentire la governabilità del Paese (i suoi militanti sembrano contrari) o andare a terze elezioni, con previsioni a dir poco fosche (Podemos è pronto ad approfittare del disastro).
Per la Spagna non è un momento qualunque e questa spaccatura clamorosa ne è la conseguenza. «È una crisi di regime», dice Pablo Iglesias, leader di Podemos, che da politologo recupera lucidità di analisi. Sánchez paga le pesanti e ripetute sconfitte elettorali, ultime quelle in Galizia e Paesi Baschi, e la decisione (condivisa solo formalmente dai colonnelli del partito) di votare contro l’investitura di Mariano Rajoy. L’obiettivo dei ribelli adesso è affidare il partito a un commissario, il favorito è il presidente asturiano Javier Fernández, e andare al congresso straordinario una volta risolta (non si sa come) la questione del governo. Nessuno tra i critici, però, osa dichiararsi a favore di un’astensione per facilitare un governo del Pp. C’è un mese di tempo per dirimere la questione, dopo di che verranno convocate elezioni per il 18 dicembre, uno scenario surreale che provoca irritazione a Bruxelles. Spettatore interessato il Partito Popolare, il quale, comunque vada, ne uscirà bene: se il Psoe cambia posizione il Pp andrà al governo subito, altrimenti con il voto a dicembre la maggioranza assoluta, dicono i sondaggi, è a portata di mano.
Dal punto di vista economico i dati spagnoli sono incoraggianti, ma l’Europa non si aspettava l’apertura di un altro fronte di instabilità. A luglio la Spagna e il Portogallo hanno evitato la multa comunitaria per l’eccessivo deficit. In cambio Madrid e Lisbona devono presentare una finanziaria coerente con gli impegni e mandarla a Bruxelles entro il 15 ottobre. Ma, se l’aria è questa, fra due settimane al massimo si sarà finito di raccogliere i cocci.