La Stampa 29.10.16
Il Papa elogia Lutero: “Ha messo la Bibbia nelle mani del popolo”
di Andrea Tornielli
Martin
Lutero ha compiuto il «grande passo» di «mettere la Parola di Dio nelle
mani del popolo». Parola di Francesco, che lunedì 31 ottobre si recherà
a Lund, in Svezia, partecipando a una commemorazione per i cinquecento
anni della Riforma protestante. È stata resa nota ieri un’intervista con
il Papa su questi temi realizzata da padre Ulf Jonsson, direttore della
rivista dei gesuiti svedesi “Signum”. Il testo italiano del colloquio è
stato diffuso da “La Civiltà Cattolica”.
Alla domanda su che cosa
la Chiesa cattolica potrebbe imparare dalla tradizione luterana,
Bergoglio risponde: «All’inizio quello di Lutero era un gesto di riforma
in un momento difficile per la Chiesa. Voleva porre un rimedio a una
situazione complessa. Poi questo gesto - anche a causa di situazioni
politiche - è diventato uno “stato” di separazione, e non un “processo”
di riforma di tutta la Chiesa». Lutero, aggiunge il Papa, «ha fatto un
grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo. Riforma
e Scrittura sono le due cose fondamentali che possiamo approfondire
guardando alla tradizione luterana».
Nell’intervista Francesco
ribadisce che oltre al dialogo teologico, con le altre confessioni
cristiane, servono «la preghiera comune e le opere di misericordia, cioè
il lavoro fatto insieme nell’aiuto agli ammalati, ai poveri, ai
carcerati. Fare qualcosa insieme è una forma alta ed efficace di
dialogo». Ma senza proselitismo, che «è un atteggiamento peccaminoso»
perché trasformerebbe «la Chiesa in una organizzazione. Parlare,
pregare, lavorare insieme: questo è il cammino che dobbiamo fare.
Nell’unità quello che non sbaglia mai è il nemico, il demonio. Quando i
cristiani sono perseguitati e uccisi, lo sono perché sono cristiani e
non perché sono luterani, calvinisti, anglicani, cattolici o ortodossi.
Esiste un ecumenismo del sangue».
A proposito della situazione dei
cristiani, il Papa afferma: «Credo che il Signore non lascerà il suo
popolo a se stesso». In questo momento il Medio Oriente «è terra di
martiri. Possiamo senza dubbio parlare di una Siria martire e
martoriata. Voglio citare un ricordo personale che mi è rimasto nel
cuore: a Lesbo ho incontrato un papà con due bambini. Lui mi ha detto
che era tanto innamorato di sua moglie. Lui è musulmano e lei era
cristiana. Quando sono venuti i terroristi, hanno voluto che lei si
togliesse la croce, ma lei non ha voluto e loro l’hanno sgozzata davanti
a suo marito e ai suoi figli. E lui mi continuava a dire: “Io l’amo
tanto, l’amo tanto”. Sì, lei è una martire. Ma il cristiano sa che c’è
speranza. Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani».
Allargando
lo sguardo al rapporto con le altre fedi e all’uso della religione per
giustificare la violenza, dopo aver ripetuto che «non si può fare la
guerra in nome di Dio», Francesco cita la strage di Nizza definendo
l’autore un «pazzo squilibrato» e si dice certo che la vera apertura
alla trascendenza non può provocare terrorismo. «Ci sono idolatrie
legate alla religione: l’idolatria dei soldi, delle inimicizie... C’è
una idolatria della conquista dello spazio, del dominio, che attacca le
religioni come un virus maligno. E l’idolatria è una finta di religione,
è una religiosità sbagliata. Io la chiamo “una trascendenza immanente”,
cioè una contraddizione. Invece le religioni vere sono lo sviluppo
della capacità che ha l’uomo di trascendersi verso l’assoluto. Il
fenomeno religioso è trascendente e ha a che fare con la verità, la
bellezza, la bontà e l’unità. Se non c’è questa apertura, non c’è
trascendenza, non c’è vera religione, c’è idolatria. L’apertura alla
trascendenza dunque non può assolutamente essere causa di terrorismo,
perché questa apertura è sempre unita alla ricerca della verità, della
bellezza, della bontà e dell’unità».
Il testo originale
e integrale, tradotto in italiano, dell’intervista si può scaricare
liberamente dal sito della rivista La Civiltà Cattolica
nell’immagine: una stampa luterana del 16* secolo