La Stampa 28.10.16
“Assurdo negare il legame fra ebrei e Gerusalemme, dove gli ebrei vivono da 4000 anni”
Reuven Rivlin, il presidente israeliano:
«L’Unesco sbaglia, davanti alla Storia non si può essere neutrali»
“Le tribù rivali del Medio Oriente convivano nelle confederazioni”
Il presidente israeliano riceverà Mattarella: i nostri popoli hanno radici comuni
intervista di Maurizio Molinari
Le
confederazioni per far convivere le tribù rivali del Medio Oriente, il
dialogo con i sunniti, la Russia protagonista, la Realpolitik
dell’America ma soprattutto il legame indissolubile con Gerusalemme,
dove gli ebrei vivono da 4000 anni nonostante le «assurdità»
dell’Unesco: sono idee e valori che Reuven Rivlin, presidente dello
Stato di Israele, illustra a «La Stampa» anticipando l’agenda che
discuterà con il capo dello Stato Sergio Mattarella, in arrivo domenica,
nel segno di «radici comuni che ci permettono di guardare assieme al
futuro».
Cosa l’ha colpita di più del voto dell’Unesco su Gerusalemme?
«La
mia famiglia arrivò da Vilna, in Lituania, a Gerusalemme, sette
generazioni fa e ora l’Unesco afferma che questa città non ha alcun
legame con l’ebraismo. Gli ebrei sono qui da 4000 anni, Gesù visse nella
Gerusalemme ebraica e Tito la distrusse, dando inizio alla Diaspora
dove gli ebrei hanno sempre pregato verso Gerusalemme, fino al loro
ritorno grazie al sionismo. Israele si può criticare, anche aspramente,
per questa o quella politica, ma negare il legame fra gli ebrei e
Gerusalemme è un’assurdità».
Da dove si genera, a suo avviso, tale «assurdità»?
«A
spiegarla non basta l’antisemitismo. C’è qualcosa di più: l’argomento
dei palestinesi che gli ebrei non hanno nulla a che fare con questa
terra. Gli ebrei sono venuti qui da oltre 70 Paesi ma il rigetto arabo
del sionismo si è motivato con il fatto che fossero dei corpi estranei.
Dietro tali risoluzioni c’è la volontà politica di affermare che Israele
non ha diritto di esistere. Il rigetto palestinese delle nostre radici
in questa terra è una tragedia perché mina la costruzione della
convivenza. Nessuno può capirci meglio dell’Italia perché il Foro romano
ha nell’Arco di Tito la prova concreta della Menorà catturata nel
Tempio di Gerusalemme. Le nostre storie sono intrecciate».
Cosa si aspetta dalla visita di Sergio Mattarella?
«Sarà
un onore ospitarlo. Lo aspettiamo a cuore aperto e guardando con
fiducia al futuro comune. I nostri popoli e le nostre nazioni hanno
radici comuni, dunque sono convinto che abbiamo davanti una Storia da
scrivere assieme. Così come la Storia passata, la stessa vissuta da
Gesù, ci accomuna. Giuseppe Flavio ha scritto nella lingua dell’Impero
romano, dunque universale, fatti chiari sui romani, gli ebrei e
Gerusalemme».
Il premier Matteo Renzi ha avuto dure parole di
condanna per la risoluzione dell’Unesco, smentendo di fatto l’astensione
votata dal nostro ambasciatore. Cosa pensa della posizione italiana?
«Davanti
alla Storia non si può essere neutrali. Gerusalemme è da sempre simbolo
di coesistenza e convivenza fra popoli, etnie e fedi».
Israele ed Europa condividono i timori per il terrorismo jihadista. Cosa sta avvenendo in questa regione?
«Il
problema del Medio Oriente nasce dalla crisi del nazionalismo arabo e
dal conseguente dilagare del terrorismo. In questa regione vi sono
quattro nazioni - Egitto, Israele, Turchia e Iran - mentre altri Paesi
hanno una natura etnica o tribale. In Siria a combattersi sono
sette-otto eserciti, in Iraq vi sono tre etnie diverse: curdi, sciiti e
sunniti. Sono tali motivi che consentono a Isis di proliferare. Ed è
peggio di Al Qaeda perché Osama bin Laden voleva operare dentro gli
Stati mentre Isis vuole distruggerli, sostituendoli con uno Stato
islamico. Il terrore che ha colpito Israele si ripete contro altri
Paesi, è un metodo di vita tribale. In Siria dopo la rivolta anti-Assad e
in Libia dopo Gheddafi non vi sono dittatori in grado di dominare le
tribù e dunque riemerge la violenza. È il fondamentalismo che spazza la
regione, spinge la gente a fuggire verso l’Europa, sognando di arrivare
in Germania o in Italia».
È un processo inarrestabile o può essere fronteggiato?
«Alla
genesi c’è il conflitto fra differenti tribù, è una questione di
ostilità fra sciiti-sunniti e al loro interno di ulteriori divisioni.
Paghiamo le conseguenze della creazione di Stati fittizi, decisi a
tavolino con gli accordi di Sykes-Picot nel 1916. L’unica maniera per
fronteggiare tale processo è creare delle confederazioni per riunire
etnie e tribù. Ad esempio in Iraq fra sunniti, sciiti e curdi che per
vivere assieme devono essere separati ma avere accordi comuni sulle
questioni strategiche. Ipotizzare di tenere al potere Assad non ha molto
senso perché ha causato una strage immane, portando a far riemergere le
differenze fra Aleppo e Damasco. Gli alawiti non andranno mai con i
sunniti e viceversa. Per trovare un metodo di convivenza bisogna partire
dalla tutela delle identità, le tribù non stanno assieme senza
dittatori che glielo impongono. Solo le confederazioni possono impedire
flussi di massa di profughi come quelli che arrivano in Europa. Solo le
confederazioni fra etnie e tribù possono difendersi dalle idee di Isis
che arrivano via Internet».
La confederazione può essere una via d’uscita anche al conflitto fra israeliani e palestinesi?
«Certo,
il primo a suggerirlo fu Zeev Jabotinsky, uno dei primi leader
sionisti, che previde cosa sarebbe avvenuto agli ebrei in Europa;
riteneva che non c’era altra scelta all’emigrazione in Israele ma
affermava con grande realismo che gli arabi li avrebbero rigettati. Nel
1923 diceva che l’unica maniera era “convivere con chi non ci accetta”
costruendo “muri di ferro non per attaccare ma difendersi” e “tenendo
finestre aperte per cogliere, appena possibile, opportunità di dialogo
sul lato opposto” perché alla fine è sempre la convivenza che prevale.
Noi dobbiamo vivere assieme ai palestinesi, non dobbiamo dominarli,
bisogna vivere assieme con entità differenti ovvero in una
confederazione. Per riuscirci bisogna creare fiducia, si è parlato in
passato di confederazione anche con i giordani ma loro vogliono restare
in uno splendido isolamento e potrà esservi solo a Ovest del Giordano».
L’Europa
accoglie molti migranti. Più Paesi si interrogano su come far
coesistere le popolazioni nazionali con minoranze di origini diverse.
Israele ha il 20% di cittadini arabi e lei più volte ne ha sottolineato
il valore per la vita democratica. Qual è la ricetta della convivenza?
«Bisogna
accettare l’idea di vivere assieme, appartenendo alla stessa
collettività. È un processo di maturazione interna, difficile ma
inevitabile. I migranti che arrivano in Italia devono fare loro valori e
ideali italiani così come l’Italia deve rispettarne l’identità. Qui è
più difficile per il conflitto israelo-palestinese. Sotto certi versi
siamo ancora nemici sebbene gli arabi hanno partiti e deputati. Siamo
una nazione con diverse comunità e ciò comporta diverse responsabilità:
gli ebrei non devono imporsi, la minoranza araba deve accettare lo
Stato. La “Speranza d’Israele” è che ogni cittadino ebreo, cristiano o
musulmano condivida l’idea di avere cura degli altri».
Circolano indiscrezioni a raffica sui contatti fra Israele e Stati sunniti. Cosa c’è di vero?
«Quando
in Iran c’era lo Scià temeva gli Stati sunniti e per questo dialogava
con noi, ora la situazione è rovesciata: l’Iran ha il nucleare e
promuove il terrorismo dunque sono gli Stati sunniti a temerlo, e
dialogano con noi. Israele è minacciato da due organizzazioni
terroristiche – Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza – sostenute dall’Iran
ed ora i sunniti percepiscono simili minacce da Teheran. Inoltre, i
sunniti vogliono allearsi con chi combatte non solo l’Iran ma anche
Isis. Dunque, cercano noi. Isis non è solo un esercito ma un fenomeno
che entra nelle teste dei musulmani. A capirlo bene sono i russi perché
hanno avuto la Cecenia: comprendono il pericolo fondamentalista».
Quanto conta oggi la Russia in Medio Oriente?
«In
questa regione il vuoto non esiste. Quando gli americani hanno iniziato
a disimpegnarsi, i russi sono arrivati. I russi hanno sentito la
pressione americana in Ucraina e hanno risposto difendendo i loro
interessi nel Mar Nero e nel Mediterraneo Orientale, partendo dal porto
di Latakia. Tutto ciò ha portato a tensioni Est-Ovest. Israele ne ha
tratto le conseguenze: in Siria è la Russia che controlla lo spazio
aereo e dobbiamo cooperare con loro. Ma abbiamo stabilito delle linee
rosse come non consentire ad Iran ed Hezbollah di arrivare ai confini
sul Golan.
La Russia è destinata ad accrescere il proprio ruolo?
«La
Russia venne espulsa dal Medio Oriente nel 1856 con la guerra di
Crimea, vi tornò nel 1956 dopo la crisi di Suez, sbarcando in Egitto.
Poi con la fine della Guerra Fredda ci sono stati soprattutto gli
americani ma la Russia è tornata ed è destinata a rimanerci perché Putin
è determinato a difendere gli interessi russi e dei russofoni».
Se Hillary Clinton dovesse diventare presidente Usa le tensioni Est-Ovest in questa regione potrebbero impennarsi...
«Se
la Clinton diventerà presidente si troverà davanti alla Russia.
L’Italia e i suoi leader sanno bene quello che sappiamo noi: Russia e
Usa duellano ma possono trovare interessi comuni».
Quanto dice mi
fa venire in mente Dan Segre, lo scrittore ebreo italiano che fu
collaboratore di David Ben Gurion ed ambasciatore di Israele in Africa,
sulla possibilità che lo Stato ebraico abbia davanti a sé un futuro di
«neutralità». Cosa ne pensa?
«I fondatori di Israele erano russi,
come Ben Gurion, molti sognavano Marx e Lenin, la Russia fu una delle
prime nazioni a riconoscerci e dalla Russia abbiamo ricevuto dagli Anni
Novanta 1,5 milioni di immigrati. I pionieri sionisti non leggevano solo
lo Zio Tom e la letteratura italiana ma anche Dostojevsky e Tolstoi.
L’America è il nostro più grande alleato, ci sentiamo parte dell’Europa
ed abbiamo una enorme comunità marocchina: siamo di tutte le origini,
siamo parte del mondo libero ma siamo in Medio Oriente, circondati dalle
sue guerre. La nuova situazione ci consente di dialogare con tutti; per
questo ciò che ha scritto Dan Segre è molto vero, ha saputo guardare
lontano. Al tempo stesso non dimentichiamo che il popolo ebraico è
tornato alla sua terra e non abbiamo altro posto dove andare ad
eccezione di Israele».