venerdì 28 ottobre 2016

Il Sole 28.10.16
Il fattore rabbia. Le inquietudini americane
L’ombra della violenza sul risultato elettorale
di Mario Platero

Southampton (New York) Può essere ragionevole dare una spiegazione dei sondaggi, come abbiamo fatto ieri su queste pagine per giustificare in modo razionale il vantaggio di Hillary Clinton nella corsa per la Casa Bianca del 2016.
Il problema è che nulla in queste elezioni è davvero razionale. Ed è stato proprio a Southampton in questo villaggio a Long Island, 150 chilometri a Est di New York che ho toccato con mano il rifiuto della razionalità e addirittura l’incoraggiamento perché si faccia una rivoluzione: «Se vincerà Hillary la gente andrà armata per strada, marcerà sulla Capitale, ci sarà una rivoluzione e un bagno di sangue in America. Questo sarà il prezzo di elezioni truccate» mi dice il mio interlocutore di cui non farò il nome. Aggiunge: «C’è gente che non si alza in piedi davanti alla bandiera. Gli sparerò in testa». È raro, se non impossibile ascoltare pubblicamente simili espressioni di violenza. E c’è anche una spiegazione per giustificare l’uso delle armi: se lasciata al potere, Hillary prenderà il controllo della Corte Suprema, e la devierà dai suoi solenni impegni per difendere la Costituzione. «Cercherà di abolire il Secondo Emendamento. Ma sarà proprio il suo uso appropriato, con le milizie, che rimetterà a posto l’America».
Il Secondo Emendamento alla Costituzione contiene le due righe più incendiarie nella recente lotta politica. Prevede che la gente possa «tenere e portare armi» e di formare «una ben regolata milizia per garantire la sicurezza di uno stato libero». Allora la spiegazione era semplice. Subito dopo la rivoluzione si temeva un contrattacco degli inglesi e dunque si autorizzava il porto d’armi per difendere la libertà dalla potenza coloniale. Ma allora non c’erano né un esercito organizzato né la Guardia Nazionale a livello statale. Oggi questo stesso articolo viene usato per fomentare una rivoluzione popolare contro i risultati elettorali e la democrazia.
Anche il New York Times si è occupato del rischio di un contraccolpo rivoluzionario contro il risultato elettorale. Ha intervistato una cinquantina di partecipanti ai comizi di Trump in Colorado, Florida, Wisconsin, Carolina del Nord, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. Quasi tutti hanno sostenuto la tesi della rivoluzione se vincerà Hillary: «Ci sarà una nuova guerra rivoluzionaria. La gente farà di tutto per defenestrare Hillary Clinton perché non appartiene alla Casa Bianca» ha detto ad esempio Jared Halbrook, 25 anni di Green Bay in Wisconsin. Halbrook fa il centralinista a un centro chiamate. Gli altri sono a seconda dei casi agricoltori, rancheros insegnanti in pensione, uno spaccato demografico dei “bianchi disillusi”.
La cosa interessante è che il mio interlocutore è nello stato di New York, ha un profilo demografico diverso, non è certo “white trash”, è un Wasp con antenati fra i primi colonizzatori americani. Il campo dunque si allarga: «Siamo qui dalla fine del 1600. I miei padri – mi dice ancora – hanno costruito questa Nazione. Non potrò tradirli consentendo a qualcuno di calpestarli con l’imbroglio».
In effetti la paura dell’imbroglio è l’elemento scatenante per tutti gli attivisti di destra. Vedono centinaia di case dei sobborghi con cartelli con il nome Trump e solo poche con il nome Hillary. Vedono una mobilitazione popolare ai comizi di Trump come non si vede da Hillary e non possono credere ai sondaggi che la danno vincente. Ma la vera rivoluzione è quella fra campagne e aree metropolitane. Auguriamoci che chi vincerà la Casa Bianca possa sanarla. Senza spargimenti di sangue.