La Stampa 28.10.16
A scuola di felicità dal mio amico Leopardi
Esce
lunedì L’arte di essere fragili, l’ultimo libro di Alessandro D’Avenia
“Il poeta ci insegna ad accettare la paura per potersene liberare”
Esiste
un metodo per la felicità duratura, uno stare al mondo che dia il più
ampio consenso possibile alla vita senza rimanere schiacciati dalla sua
forza di gravità, senza soccombere a sconfitte, fallimenti, sofferenze,
anzi trasformando questi ultimi in ingredienti indispensabili a nutrire
l’esistenza? Si può imparare il faticoso mestiere di vivere giorno per
giorno in modo da farne addirittura un’arte della gioia quotidiana?
Giunto
alla soglia dei miei quarant’anni, tempo fecondo di bilanci, il segreto
di quest’arte di esistere senza paura di vivere, o meglio accettando
anche la paura, credo di averlo trovato, ed è quanto di più prezioso io
abbia. In queste pagine, caro lettore, vorrei raccontartelo, come in una
chiacchierata fra amici, magari nella penombra di una sera senza
incombenze. Anzi, preferirei che te lo raccontasse l’amico che me lo ha
svelato, colui che quando avevo diciassette anni varcò la soglia di
camera mia per non uscirne più. Nella nostra stanza facciamo entrare
solo chi ha il diritto di vederci scoperti, senza difese, persino nudi.
(…)
Aprirsi al mistero
Pensa, lettore, a ciò che ti sta
accadendo adesso, all’atto di sconsiderata fiducia che si consuma nel
leggere un libro al fuoco antichissimo e moderno di una lampadina, nella
condizione orizzontale del proprio letto: stai permettendo a un
estraneo di entrare nella tua notte, il momento in cui abbassi le
difese. Con questo gesto affronti la paura del buio e ti rendi
disponibile al mistero.
Così è accaduto a me con chi mi ha svelato
il segreto de la felicità, l’ultimo a cui avrei pensato, da ragazzo, di
concedere la chiave della mia stanza: Giacomo Leopardi.
(...)
Leopardi
ebbe presa sulla realtà come pochi altri, perché i suoi erano sensi
finissimi, da «predatore di felicità». A guidarlo era una passione
assoluta. La custodiva dentro di sé e la alimentò con la sua
fragilissima esistenza nei quasi trentanove anni in cui soggiornò sulla
Terra; per questo ebbe un destino scelto e non subìto, pur avendo tutti
gli alibi per subirlo o per ritirarsi da qualsiasi passione. Fu invece
un cacciatore di bellezza, intesa come pienezza che si mostra nelle cose
di tutti i giorni a chi sa coglierne gli indizi, e cercò di darle
spazio con le sue parole, per rendere feconda e felice una vita
costellata di imperfezioni.
In queste pagine pongo domande (la
letteratura serve a fare interrogativi, non interrogazioni) e rispondo a
Leopardi, che mi ha a sua volta accolto amorevolmente nelle sue
«stanze» (così si chiamano le strofe delle poesie) scrivendomi lettere
accorate e vigorose: questo è un epistolario intrattenuto con lui in uno
spazio-tempo creato dall’atto della lettura, lo spazio-tempo della
bellezza, che vince sul tempo misurato dagli orologi ed espande la vita
come solo amore e dolore, scrittura e lettura possono fare.
Ma
questo libro è anche un atto di fedeltà a due dei progetti mai
realizzati da Giacomo. Egli avrebbe voluto scrivere una Lettera a un
giovane del ventesimo secolo, come accenna nello Zibaldone nell’aprile
del 1827, e mi piace immaginare che a ricevere quella lettera sia stato
proprio io, nato centocinquant’anni dopo quella nota, nel secolo verso
il quale egli si sentiva proiettato. Leggere ciò che un altro uomo ha
scritto è entrare in relazione epistolare con lui: lui ci scrive, noi, a
distanza di migliaia di ore, rispondiamo. La poesia è un messaggio in
bottiglia, che vive della speranza di un dialogo differito nel tempo.
Questo è stata per me, adolescente naufrago nella sua stanza, la poesia
di Leopardi.
Le età dell’uomo
L’altro progetto che lasciò
incompiuto era un poema, in prosa e versi, sulle età dell’uomo.
Costretto a vivere più in fretta di tutti noi, per via delle sue
condizioni fisiche, Leopardi mi ha insegnato ad accostarmi alle età
della vita con parole precise, rendendole così reali e abitabili, e mi
ha aiutato a trovare gli strumenti dell’arte del vivere quotidiano in
ogni tappa dell’esistenza, identificando il fine per cui esiste e la
passione felice che deve attraversarla e guidarla.
Il libro è
quindi diviso in sezioni che segnalano i passi dell’esistenza umana e
ciò che può illuminarli dall’interno. Leopardi ha distillato, come si fa
con gli ingredienti dei profumi, le tappe che ci accomunano tutti,
qualunque siano longitudine e latitudine di appartenenza, qualunque sia
la «dote» che la vita ci ha offerto. Queste componenti fondamentali
dell’essenza della vita le chiamo: adolescenza, o arte di sperare;
maturità, o arte di morire; riparazione, o arte di essere fragili;
morire, o arte di rinascere. Arte è ciò che chi ha talento per la vita
(tutti) può imparare e migliorare giorno per giorno, perché ogni tappa
sia illuminata, guidata e riscaldata da un fuoco che non si spegne,
quello della passione felice di essere al mondo come poeti del
quotidiano e non stremati superstiti o pallide comparse. Non esclamiamo
forse, di un momento di gioia: «È pura poesia»?
La semplicità
Queste
pagine non contengono soluzioni semplici, perché semplice la vita non
lo è mai, e non lo è stata per Leopardi in particolare, ma suggeriscono
come un po’ più semplici potremmo essere noi, con uno sguardo più puro
sulla vita (…) e la sua possibile felicità, che, come scrive Leopardi,
non ne è che il compimento, per raggiungere il quale «è necessario alle
cose esistenti amare e cercare la maggior vita possibile a ciascuna di
loro» (Zibaldone, 31 ottobre 1823).
Se ti fidi, lettore, prometto di aiutarti a cercare questa vita e a risvegliare questo amore.