il manifesto 28.10.16
Cina, la successione a Xi Jinping può attendere
Cina.
L’attuale presidente è stato definito «nucleo» dal comunicato finale
del sesto Plenum del partito. Stessa definizione che Deng usò per Mao.
Sempre più probabile un prolungamento del suo mandato
di Simone Pieranni
La
nuova parola da tenere a mente quando si parlerà di Cina sarà he xin,
ovvero «cuore», «nucleo». È la nuova «posizione» del leader
incontrastato Xi Jinping all’interno del partito. Al termine del sesto
Plenum del diciottesimo comitato centrale del partito comunista, nel
documento conclusivo, si specifica che «tutti i membri del partito
devono unirsi intorno al Comitato centrale con il compagno Xi Jinping
come nucleo».
Cosa significa dunque? In primo luogo il Plenum ha
sancito una vittoria di Xi Jinping che, già plenipotenziario, ottiene
anche questo riconoscimento che in passato era toccato solo a Mao,
definito he xin da Deng Xiaoping (che riferì l’espressione anche a se
stesso e a Jiang Zemin).
Un attestato storico, dato che il
predecessore di Xi, Hu Jintao, era stato appellato solo come «compagno
segretario», in nome di una guida collegiale che Xi ha sostanzialmente
scaraventato nella cantina della storia. Sbaglieremmo però a considerare
questo «attestato» come una sorta di vittoria senza alcuna concessione
da parte di Xi Jinping. Nella logica di gestione dei rapporti di potere
che avviene in Cina – così come la Cina fa con il resto del mondo
nell’ambito della sua diplomazia internazionale – a reggere le relazioni
è sempre, infatti, il compromesso. Xi Jinping aveva l’intenzione di
vincere ma non stravincere.
Tanto che nel documento conclusivo si
ribadisce la necessaria «guida collegiale», a ribadire che all’interno
del partito l’ala che gravita intorno al numero uno non è l’unica: altri
hanno carte da giocarsi e gli viene riservata la possibiltà di muoversi
anche all’interno di una strettoia politica voluta con molta forza
dall’attuale numero uno. A Xi interessava ottenere questa posizione per
arrivare al rush finale per il prossimo congresso con le armi
sufficienti a proporre, probabilmente, un quinquennio in più di governo.
I
leader del paese infatti solitamente restano in carica per due
congressi, per la durata totale di dieci anni. A metà dell’anno
prossimo, come stabilito dal Plenum conclusosi ieri a Pechino, dovranno
essere rinnovati i vertici dell’ufficio centrale del Politburo e
dovrebbe cominciare a delinearsi la «sesta generazione» dei leader,
responsabili della guida del paese dal 2022 in avanti. Il concetto di
tempo per i cinesi è diverso dal nostro: Xi Jinping sa che in un anno
circa possono succedere molte cose, ma intanto ha messo a segno un punto
importante. Il suo nuovo ruolo di «nucleo» potrebbe infatti
consentirgli approvazioni e veti finali, anche sul possibile
prolungamento tanto del suo regno, quanto di quello dei suoi principali
collaboratori.
Il Plenum ha approvato due documenti che vanno
nella direzione proposta dalla leadership: uno è relativo alle norme
«della vita politica all’interno del partito sotto la nuova situazione» e
l’altro è invece collegato alla regolamentazione sulla «supervisione
intra-partito».
Come riferito dall’agenzia statale Xinhua, il
Partito comunista cinese ha varato anche un piano contro la corruzione
finalizzata alle promozioni promettendo di «affrontare con risolutezza i
fenomeni di elezioni illecite e di mettere fine alla compravendita di
incarichi pubblici o di brogli elettorali». Nel comunicato finale del
Plenum di specifica che «la richiesta di una posizione ufficiale, di una
onorificenza o di un trattamento speciale non è ammessa sotto qualsiasi
circostanza».
Le pratiche di negoziati «con le organizzazioni del
partito per garantirsi una promozione o per disobbedire a qualsiasi
decisione presa da organizzazioni del Partito sono anche proibite», ha
riferito l’agenzia Xinhua.La «disciplina» e soprattutto la «corruzione»
diventano dunque motivi di valutazione fondamentale nella possibilità di
carriera dei funzionari.
Da quando è arrivato al potere Xi ha
dato vita a una campagna anti corruzione violenta, che non ha guardato
in faccia nessuno. Di contro però, in un sistema che si basava quasi
esclusivamente su mazzette e tangenti, questa politica anti corruzione
ha finito per «bloccare» numerosi settori economici del paese, in preda
al terrore di finire tra gli «indagati» del team messo in piedi da Xi.
Il
numero uno, il «nucleo», dovrà quindi adoperarsi perché, pur sempre
sotto il suo unico e imprescindibile controllo, il paese possa
rimettersi in moto e compiere definitivamente la trasformazione messa
nel mirino dalla dirigenza comunista.