Corriere 28.10.16
L’«Infinito» di Leopardi messo in salvo a Bologna
di Paolo Di Stefano
Non
solo gli uomini e le donne vanno salvati dalla catastrofe, ma anche la
poesia. Ed è una notizia straniante, in queste giornate cupe, che anche
Giacomo Leopardi è tra gli sfollati del terremoto. Un cospicuo e
importantissimo gruppo di carte, ben 27 manoscritti, conservate nel
Palazzo dei Governatori di Visso, trova riparo a Bologna perché venga
messo al sicuro. Tra questi autografi ci sono «sudate carte» celeberrime
e preziose, come il manoscritto (uno dei due superstiti)
dell’«Infinito», l’idillio scritto tra la primavera e l’autunno del
1819, dove nel penultimo verso troviamo una variante provvisoria nota ai
filologi (un ripensamento che poi il poeta avrebbe respinto,
recuperando la parola precedente): «immensità» cancellata e sostituita
nell’interlinea da «infinità». In realtà le carte di Visso tornano,
provvisoriamente, nella città da cui erano partite, perché fu Prospero
Viani, il preside del Liceo Galvani, a liberarsene per esigenze
economiche nel 1869, guadagnando non più di 400 lire. «Con grande dolore
— scrisse — abbandono altrui queste preziose carte e mi sarà solo in
parte attenuato se passeranno nelle mani di persone che le sappiano
pregiare e conservare». Fu il sindaco di Visso, Giovanni Battista Gaola
Antinori, ad acquistarle. Quei cimeli sono stati conservati per quasi
150 anni nel museo di Visso. Ora tornano a Bologna per evitare quella
minaccia della natura «maligna» su cui Giacomo scrisse pagine mirabili e
dolorose in prosa e in versi. È quasi una beffa che i suoi autografi
possano subire lo stesso destino distruttivo che pendeva inesorabile
sulla fragilità della ginestra, il fiore del deserto, sottoposto ai
capricci della Natura sterminatrice. Là, a Napoli, il vulcano. Qui, in
un paesino delle montagne marchigiane, il terremoto. «Un rapporto
antagonistico e agonistico», quello tra l’essere umano e la natura, ha
scritto Alberto Asor Rosa. Lo stesso rapporto tocca agli oggetti rari
che testimoniano la creatività eccelsa degli uomini. Non però alla
memoria della poesia, che, per nostra fortuna, sopravvive anche alla
potenza tellurica. Nonostante tutto, ci sarà sempre qualcuno che potrà
dire: «Sempre caro mi fu quest’ermo colle», cantando così le lodi di una
forza che a volte ci è amica, a volte, chissà perché, si ribella.