La Stampa 26.10.16
L’esercito dei nuovi lavoratori americani
“Abbiamo un impiego, ma senza tutele”
Durante il governo Obama 14 milioni di occupati in più
di Giovanna Pancheri
Durante
 l’amministrazione Obama sono stati creati 14 milioni di posti di 
lavoro. Un record che in pochi anni ha dimezzato la disoccupazione 
riportandola a livelli pre-crisi, attorno al 5% grazie, soprattutto, a 
una serie di incentivi fiscali importanti per le aziende disposte ad 
assumere e ad alzare i salari. Eppure in questa campagna elettorale il 
lavoro resta uno dei tempi più dibattuti. Donald Trump promette di 
creare 25 milioni di posti di lavoro nei prossimi dieci anni, Hillary 
Clinton ha già pronto il suo Jobs Plan da attuare nei primi cento giorni
 che punta anzitutto ad aumentare il salario minimo, ora fermo a 7,25 
dollari l’ora.
Ma perché quando si è quasi in piena occupazione 
gli elettori sono ancora così sensibili alla questione? Il tasso di 
disoccupazione si calcola, in realtà, sulla base della forza lavoro di 
cui fanno parte tutte quelle persone dai 16 anni in su che o hanno un 
impiego o lo stanno cercando attivamente. Chi da troppo tempo è 
costantemente senza un lavoro viene escluso dal calcolo: nel 2010 erano 
85 milioni gli americani in questa condizione oggi sono aumentati a 94 
milioni. Al di là di quello che raccontano i numeri, il problema, 
dunque, continua a esistere e va sommato alle perplessità che restano 
sui tipi di lavoro che sono stati creati in questi anni.
A 
beneficiare degli incentivi, infatti, in cambio di minimi aumenti 
salariali sono stati soprattutto le grandi catene, dove c’è molta 
flessibilità e poche garanzie. Come McDonald’s che ha alzato a 10 
dollari l’ora la paga minima. «È un lavoro facile da ottenere mi ha 
permesso di costruirmi una vita - ci spiega Keisha che da quindici anni è
 dietro al bancone di uno dei ristoranti della gruppo -. All’inizio era 
dura. Prendevo 6,50 dollari l’ora, però almeno avevo la mia paga tutte 
le settimane e poi se lavori sodo puoi crescere, certo devi comportarti 
bene, se sbagli sei fuori!» «E dopo quanto tempo si può avere un 
contratto più stabile, con più garanzie?» «No, nessun contratto. Si 
firma solo l’application». Neanche lei dopo tutti questi anni ha un 
contratto, perché negli Stati Uniti per certe categorie di lavoratori fa
 fede la domanda di assunzione che si presenta quando si viene a fare un
 colloquio e per eventuali contenziosi si può fare riferimento alle 
leggi statali che regolamentano quel settore. Un sistema che lascia 
grande margine di libertà al datore di lavoro e che ha permesso a 
determinati settori come ristoranti, catene di distribuzione e centri 
estetici di espandersi.
Diversa è la situazione se si guarda ad 
ambiti sindacalizzati come l’edilizia dove la paga per un operaio 
specializzato può essere dai 35 fino ai 100 dollari l’ora. «In questi 
anni è stata dura abbiamo licenziato persone, ora va un po’ meglio» ci 
spiega Brian, un capocantiere che costruisce grattaceli a New York da 
oltre 25 anni. Non vuole dirci per chi vota, ma lo fa capire: «Solo se 
avremo un Presidente capace di tagliare le tasse e privilegiare i 
lavoratori americani rispetto agli stranieri che non consumano la 
ripresa sarà duratura». Di tutt’altra opinione è invece Baptiste, un 
trasportatore che incontriamo di fronte a un ufficio di collocamento del
 Bronx. Lui voterà la Clinton perché «in questo momento non c’è ragione 
per non avere un lavoro in America. Funziona tutto nel modo giusto, i 
centri di collocamento sono di grande aiuto. Qui c’è anche una libreria a
 nostra disposizione e ogni volta che ho bisogno mi danno una lista 
lunghissima di porte a cui posso andare a bussare».
 
