La Stampa 26.10.16
Il 5 dicembre sarà più difficile per tutti ricostruire sulle macerie del populismo
di Marcello Sorgi
Per
fortuna è durata poco. Ma la seduta alla Camera sul taglio delle
indennità dei deputati è andata anche peggio del previsto. I 5 stelle,
portatori della proposta di dimezzare lo stipendio dei parlamentari da
cinquemila a duemilacinquecento euro, rispedita in commissione grazie al
voto della maggioranza, in aula si sono dati un contegno, anche perché a
presiedere era Luigi Di Maio, e in tribuna c’era Grillo, che proprio
per questo aveva dato ordine di evitare la caciara. Lo spettacolo vero e
proprio, a favore di telecamere, lo ha messo su in piazza Montecitorio
Alessandro Di Battista, che ha definito il Pd “gentaglia”, per aver
trovato il modo regolamentare (l’inversione dell’ordine del giorno della
seduta) di ridurre da due a uno i giorni di dibattito sul tema della
riduzione della spesa pubblica per il funzionamento della politica,
voluto in polemica con l’assai simile slogan di Renzi legato al
referendum e al ridimensionamento del Senato: per M5s si trattava
insomma di dimostrare che c’era un altro modo, più immediato, di
tagliare i costi della macchina istituzionale, ma il Pd s’è rifiutato di
percorrere questa strada.
Se però pensavano di mettere in
difficoltà il partito del premier prendendola per le spicce e adoperando
argomenti come questi, i 5 stelle hanno dovuto ricredersi ascoltando
l’intervento del capogruppo Democrat Rosato. A sorpresa un uomo
solitamente pacato come il presidente dei deputati del Pd è sceso sullo
stesso terreno di Grillo, e lo ha invitato a dare una guardata a
stipendi e privilegi del Campidoglio, ora in mano alla sindaca stellata
Raggi.
La campagna per il referendum del 4 dicembre sta entrando
così nella sua fase più sanguinosa. Come in tutti gli appuntamenti
elettorali degli ultimi tre anni, l’alternativa che si ripropone è
quella tra Renzi e Grillo, e i due leader, consapevoli che il loro
anomalo bipolarismo s’è ormai imposto, condannando tutti gli altri
partiti a recitare parti secondarie in commedia, ora fanno di tutto per
acuire i contrasti e creare una sorta di deserto attorno a loro. Ma con
una differenza rispetto alle esperienze precedenti: stavolta Renzi non
ha alcuna intenzione di contrapporre riformismo a estremismo,
ragionevolezza a follia. Il duello si gioca tutto sulla tastiera del
tanto peggio tanto meglio, una gara ad accarezzare i sentimenti più
diffusi dell’antipolitica. Si vedrà il 5 dicembre, chiunque vinca,
quanto è difficile poi cercare di ricostruire sulle macerie lasciate dal
populismo.