Il Sole 26.10.16
Torna il rischio politico in Europa
I fattori di instabilità si moltiplicano e incidono sempre di più sulla crescita
Ricerca Coface. Elaborato un indice ad hoc come per gli Emergenti: dal 2007 l’incremento è stato di 13 punti
di Gianluca Di Donfrancesco
Un
fantasma torna ad aggirarsi nel cuore dell’Europa, evocato dalle sfide
poste dalla lunga stagnazione economica e dalle migrazioni e alimentato
dalle mancate risposte dei Governi, che hanno restituito spazio a
rigurgiti nazionalistici e populismo: è lo spettro del rischio politico,
che agita mercati e investitori come non accadeva da decenni nel
Vecchio continente e minaccia di compromettere le chances di ripresa
economica nel 2017.
L’indice di rischio politico
Coface, il
colosso francese dell’assicurazione dei crediti delle imprese, ha
provato a misurarne l’evoluzione e l’impatto sulla crescita economica in
una recente ricerca, nella quale ha creato un indice del rischio
politico per i Paesi dell’Europa occidentale, misurato in una scala
compresa tra zero e cento, sviluppato adattando l’indice già realizzato
per i mercati emergenti dopo le primavere arabe e costruito sulla base
di otto variabili: crescita del Pil, distribuzione del reddito
(coefficiente di Gini), tasso di disoccupazione, rapporto deficit-Pil,
corruzione, euroscetticismo, ostilità contro l’immigrazione e
frammentazione politica. Il risultato è che in Europa il rischio
politico è aumentato in media di 13 punti, rispetto al 2007. Per decenni
associato ai Paesi emergenti, si legge nella ricerca, il rischio
politico «ora influenza i Paesi occidentali e in particolare l’Europa
occidentale».
A spingere Coface a mettere a punto questo
indicatore è stata proprio l’accelerazione del rischio politico alla
quale si è assistito in Europa negli ultimi 12 mesi, che hanno visto
avvenimenti destabilizzanti come il referendum sulla Brexit e il caos
politico in Spagna, con due elezioni parlamentari in sei mesi (dicembre
del 2015 e giugno del 2016) e il carico di incertezze che accompagna il
neo-nato Governo Rajoy. E i prossimi 12 mesi sono densi di appuntamenti
cruciali che potrebbero trasformarsi in altrettanti shock: dal
referendum costituzionale in Italia, alle elezioni in Austria, il 4
dicembre; dalla possibilità di nuove elezioni in Spagna, poco o nulla
scongiurate dal nuovo Esecutivo, alle elezioni in Olanda il 15 marzo.
Poi sarà la volta della Francia, chiamata tra maggio e giugno a
scegliere un nuovo presidente e a eleggere l’Assemblea nazionale.
Chiuderanno il ciclo le elezioni in Germania, in autunno. Tutto con la
spada di Damocle delle presidenziali statunitensi dell’8 novembre, che
potrebbero avere ripercussioni maggiori sull’Europa che sugli Usa, nel
caso di una vittoria del candidato repubblicano Donald Trump.
Tutti
questi appuntamenti arrivano quando in Europa, il rischio politico è
già ai massimi dal 2007. Il punteggio più elevato va alla Grecia (64%),
seguita dall’Italia con il 60%, che già erano in testa a questa
classifica nel 2007. Nei due Paesi, tutte le otto componenti dell’indice
sono peggiorate. Hanno pesato in particolare la crisi
dell’immigrazione, l’austerity finanziaria e l’euroscetticismo. La
Francia ha un punteggio pari al 38% (in aumento di 17 punti dal 2007),
mentre la Germania è al 35%. In quest’ultimo Paese in particolare,
l’indicatore ha avuto una forte ripresa dopo essere sceso ai minimi nel
2010. Sia in Francia che in Germania, l’evoluzione dell’indice, spiega
Coface, riflette il deterioramento del contesto socio-economico. Le
diffuse preoccupazioni per la questione dell’immigrazione e l’aumento
della sfiducia nell’Unione europea spiegano, in parte, questa tendenza. E
non sorprende, sottolinea Coface, che le stesse due variabili siano
alla base dell’aumento del livello di rischio registrato in altri Paesi
europei, come la Finlandia, l’Olanda e l’Austria.
Il caso Londra
All’impatto
della Brexit sul Regno Unito, Coface ha dedicato un capitolo in un
report differente. Quest’anno la crescita britannica dovrebbe
raggiungere l’1,9%, per fermarsi allo 0,9% nel 2017. Fattori di rischio
legati allo stato di salute delle banche e al settore immobiliare,
caratterizzato da un forte indebitamento delle famiglie e una
sopravvalutazione dei prezzi, potrebbero essere esacerbati dal negoziato
con Bruxelles per l’uscita dall’Unione. Le incertezze legate alle
modalità del “divorzio” alimentano la volatilità e il deprezzamento
della sterlina. Tale mancanza di visibilità a breve termine, pesa sulla
fiducia degli operatori economici britannici ed europei.
Il costo di una nuova Brexit
L’aumento
dell’incertezza politica si ripercuote sull’economia attraverso diversi
canali, che Coface individua nel ritardo delle decisioni di
investimento da parte delle imprese, nel calo della fiducia delle
famiglie, nelle fluttuazioni sui titoli azionari e obbligazionari.
Un
nuovo shock politico interno, di entità paragonabile a quello generato
nel Regno Unito dal referendum sulla Brexit, sostiene la ricerca,
avrebbe quindi un impatto molto significativo in Spagna, che si
troverebbe a lasciare sul terreno 1,2 punti di Pil nell’arco di un anno.
Una crisi politica di pari entità in Francia, costerebbe all’economia
nazionale lo 0,7%. Nel Regno Unito, una nuova Brexit costerebbe lo 0,5%
in un anno. In Germania il dazio da pagare sarebbe compreso tra lo 0,4 e
lo 0,5%. Il Paese che mostra maggior capacità di tenuta a una crisi
politica è l’Italia, che lascerebbe sul terreno solo lo 0,2% di crescita
se, per esempio, il referendum del 4 dicembre dovesse innescare una
forte incertezza. Per Coface, la tenuta dell’Italia sarebbe spiegata
dall’assuefazione sviluppata dal Paese e dai suoi operatori economici
alle crisi politiche.
Il fattore Trump
Cosa succederebbe se
il voto dell’8 novembre consegnasse le chiavi della Casa Bianca al
candidato repubblicano Donald Trump? In base alla simulazione di Coface,
la crescita economica degli Stati Uniti sarebbe più bassa dell’1,5%, ma
paradossalmente a soffrire di più sarebbero le economie europee, che
lascerebbero sul terreno in media il 2%, con un massimo compreso tra il 3
e il 4% per la Spagna, mentre la Francia ne uscirebbe con un -1% e la
Germania praticamente indenne.
Per Coface, questi risultati non
fanno che confermare il ruolo sistemico dell’economia statunitense, già
osservato dopo il crack della Lehman, quando il Pil americano subì una
contrazione del 2,8% nel 2009, contro il crollo del 4,5% registrato
nell’Eurozona.