La Stampa 25.10.16
Tra i migranti cacciati da Calais
“E adesso dove ci manderanno?”
Francia, via ai primi duemila trasferimenti dalla “Giungla” Ma c’è chi sfida la polizia: non ce ne andremo di qui
di Leonardo Martinelli
«Volete
andare in Bretagna o nella Loira?». Le ragazze dell’Ufficio
dell’immigrazione insistono: non c’è tempo da perdere, la fila dietro
preme. Il gruppo di amici sudanesi si consulta: che ne sanno di quelle
regioni. «Dove fa più caldo?», chiede d’un tratto uno di loro.
Aggiudicato per la Loira: sempre meglio che la Bretagna, per la
temperatura.
Siamo nell’hangar dove i migranti della giungla di
Calais decidono il loro futuro. Risa e grida risuonano, borsoni con una
vita dentro scivolano sulla calca. Anche Mohamed e Abdur, somali,
entrambi la ventina appena passata, hanno scelto la Loira. Senza
rendersene conto. «Hanno detto il nome troppo in fretta: non abbiamo
capito niente». Ci ridono sopra. «Tanto tutto è meglio dello schifo dove
abbiamo vissuto gli ultimi mesi».
Ieri è iniziata l’evacuazione
della bidonville di migranti più grande d’Europa. Ed è iniziata bene:
alla fine della giornata, in un’atmosfera relativamente tranquilla, 1918
dei circa 7 mila erano già saliti sui bus, che li hanno portati in
centri d’accoglienza disseminati in tutta la Francia.
«Solo i
minorenni che sono senza famiglia li tratteniamo per qualche giorno:
oggi ne abbiamo individuati 400 – spiega il prefetto Fabienne Buccio -.
Dormiranno nei container». I pochi che lo Stato francese è riuscito a
mettere su in tutti questi anni nell’accampamento, fatto di tende
fangose e catapecchie di compensato. «Sono arrivati i rappresentanti dei
servizi sociali inglesi – continua la Buccio - e con quelli della
Francia decidono caso per caso». Fino a pochi giorni fa erano più di
1.300. Solo 200 l’ultima settimana hanno potuto raggiungere i loro
familiari dall’altra parte della Manica. Per il resto Londra nicchia:
dovrebbe accoglierne altri 400. Parigi insiste: una partita giocata
sulle teste di ragazzini.
La fila davanti all’hangar ieri scorreva
lunga e compatta. Omar, 28 anni, viene dall’Eritrea, («una dittatura,
dove ormai non è più possibile neppure sopravvivere», dice). «Volevo
andare in Inghilterra, parlo inglese. Ma ho rinunciato: accetto di
chiedere l’asilo politico in Francia». Di Asmara «mi manca il latte, ha
un sapore diverso. Per il resto con l’Eritrea ho chiuso». Intanto,
giornalisti delle tv di mezzo mondo sparano i riflettori su facce
spaurite in una brutta atmosfera da telereality del migrante. Assef ha
32 anni ed è afghano. Lui in Inghilterra c’è andato: «Saltai su un
camion, che saliva sul traghetto. Dall’altra parte della Manica ci sono
rimasto otto anni, senza combinare nulla. Sono rientrato qui, ancora
nascosto su un camion». Vuole rifarsi una vita. «Mia moglie e mio figlio
non li vedo da nove anni. Non so nulla di loro».
Intanto, a 300
metri dall’hangar, la giungla è ancora al suo posto. L’atmosfera lì è
quella della smobilitazione, mentre l’odore acre della plastica sfugge
dai falò che bruciano alla fine del pomeriggio. Vi restano ancora fra le
4 mila e le 6 mila persone. Riuscirà la Francia a farle sloggiare nei
prossimi giorni? «Adesso stanno andando via i più determinati –
sottolinea Christian Salomé, dell’Ong Auberge des Migrants -, ma,
secondo le nostre stime, 2 mila non vogliono partire. Cercheranno ancora
ogni notte di saltare sui camion in corsa verso il porto. E
l’Inghilterra». Lì vicino passa Shukri, 17 anni, una ragazza con il velo
in testa: «Sono dell’etnia degli Omori, perseguitati in Etiopia. Ma in
Francia l’asilo politico a noi non lo danno mai. Nel Regno Unito,
invece, ci riconoscono come rifugiati. Anche stanotte ci proverò con i
camion».
Uno dei timori per coloro che partono verso i centri
d’accoglienza è proprio quello: sì, chiederanno l’asilo, ma a quanti
sarà riconosciuto? «In media in Francia è il 36% - osserva Yann Manzi,
alla guida di un’altra Ong, Utopia 56 -. I problemi maggiori esistono
per chi è arrivato in Italia e lì ha lasciato le impronte digitali». Le
prefetture francesi potrebbero decidere di rinviarli nel nostro Paese.
Mohamed, 21 anni, sudanese, mette le mani avanti: «Gli italiani sono
gentili, ma la polizia italiana picchia». Come dire, io lì non ci torno.
Invece,
secondo il cooperante Manzi «l’Italia ha fatto la sua parte
nell’accoglienza dei migranti. Ora tocca alla Francia». Lui venne per la
prima volta nella giungla poco più di un anno fa («mi vergognai di
essere francese»). Mentre parla, il buio cala e il gelo diventa ancora
più pungente. Sulle pareti di qualche capanna dei volontari britannici
hanno affisso manifesti con i disegni di bambini. E le loro lettere:
«Caro Calais, mi chiamo Rosa e ho sette anni. Mi dispiace che abbiate
abbandonato le vostre case. Spero ne troviate presto un’altra. Vi amo».