La Stampa 23.10.16
Il premier sarà più forte ma solo grazie all’Italicum
I poteri del governo
E si affaccia il rischio “coabitazione” con un Senato d’opposizione
di Ugo Magri
L’accusa
più forte alla riforma è che mette la democrazia a rischio. Secondo il
fronte del NO, avremo un uomo solo al comando. Da qui un rischio di
«deriva autoritaria» che i fautori del SI contestano. Chi ha ragione?
Per rispondere, è necessario uno sguardo al nuovo equilibrio dei poteri.
Incominciando proprio dal presidente del Consiglio.
Intreccio con l’«Italicum»
La
riforma non cambia una virgola per quanto concerne il premier. Le norme
che ne disciplinano le funzioni restano quelle del 1948. Non verrà
eletto direttamente, non potrà sciogliere le Camere né gli sarà
consentito di sostituire i ministri incapaci. L’unica vera differenza è
che il premier riceverà la fiducia dalla sola Camera. Dove la legge
elettorale appena approvata garantirà al vincitore la maggioranza
assoluta. Chi arriverà primo si insedierà a Palazzo Chigi senza venire a
patti con nessuno. Detto in giuridichese, il rafforzamento del premier
sarà conseguente al «combinato disposto» tra l’«Italicum» e la fine del
«bicameralismo paritario». Che sia un cambiamento tale da mettere le
libertà in pericolo, dipende dai punti di vista. Un paio di osservazioni
però s’impongono. Anzitutto, la riforma prevede che la Corte
costituzionale possa pronunciarsi sull’intera legge elettorale: basta
che lo chiedano un terzo dei senatori o un quarto dei deputati. Se non
provvederà Renzi a emendare l’Italicum, è molto possibile che intervenga
la Corte.
Ipotesi «coabitazione»
Per quanto depotenziato,
il Senato potrà rivelarsi uno scoglio. Ad esempio, gli sarà consentito
di bocciare eventuali riforme della Costituzione. Inoltre, su richiesta,
i senatori potranno mettere sotto esame le leggi appena approvate a
Montecitorio, tutte quante senza distinzione. È vero che dovranno
sbrigarsi (entro un mese) e che la Camera avrà l’ultima parola sulle
eventuali modifiche. Ma un’azione sistematica di disturbo, con continue
richieste di esame su tutti i provvedimenti, non è da escludere nel caso
si creasse una «coabitazione», cioè due maggioranze politiche diverse
tra la Camera e il Senato. Che sarà in mano a chi controlla le Regioni.
Nuove garanzie
Per
restare a palazzo Madama, i senatori eleggeranno 2 dei 5 giudici
costituzionali di scelta parlamentare. È un gesto carino verso le
opposizioni perché, se si fosse continuato col sistema attuale, la
maggioranza governativa avrebbe potuto acchiappare tutti e 5 i giudici e
amen. Stessa cosa sul Presidente della Repubblica: per eleggerlo
servirà un largo consenso, almeno i tre quinti dei partecipanti al voto
perfino dopo l’ottava votazione, non come ora che la maggioranza
assoluta scatta già dal quarto scrutinio. È vero che mettere il
Presidente sotto accusa non sarà così difficile, basterà la metà più uno
dei parlamentari in seduta comune; ma l’ultima parola sull’impeachment
spetterà alla Consulta. Ai regolamenti parlamentari verrà demandato uno
Statuto delle opposizioni per meglio tutelarne i diritti.
La voce del popolo
Boicottare
i referendum, come è avvenuto sulle trivelle, sarà molto più
complicato. Perché crollerà il quorum per le richieste supportate da 800
mila sottoscrizioni: anziché la metà più uno degli elettori, basterà la
metà (più uno) di quanti hanno votato alle precedenti elezioni
politiche. Cade il divieto dei referendum propositivi, anche se per il
momento è solo una promessa e ci vorrà un’apposita legge costituzionale.
Infine il popolo potrà direttamente proporre delle leggi, raccogliendo
150 mila firme. Attualmente ne bastano 50 mila, ma poi di regola queste
leggi finiscono nel dimenticatoio. Invece, con la riforma, il Parlamento
avrà l’obbligo di esaminarle e di pronunciarsi nel merito. Non una
garanzia, ma meglio di niente.