La Stampa 22.10.16
Il governo fa retromarcia
Salta la sanatoria sul contante
Ancora in alto mare il decreto fiscale, dubbi sulla privatizzazione delle Poste
di Paolo Baroni
Dopo
essersi fatto rosolare per tre giorni sulla graticola, soprattutto
dalla minoranza pd e dai grillini, il governo fa dietrofront sulla
sanatoria del contanti. Dalla legge di bilancio, il cui testo peraltro
non ha ancora visto la luce, sparisce infatti la flat tax del 35% per
chi decideva di dichiarare al Fisco le somme detenute illegalmente in
Italia. E’ la famigerata norma “salva-Corona” come l’ha ribattezza l’ex
segretario del Pd Bersani, secondo il quale in questo modo si sarebbe
fatto un regalo alla Mafia. “Scelta sacrosanta. Ma ormai siamo al day by
day”, commenta laconico il presidente della commissione Bilancio della
Camera Francesco Boccia, che da subito si era schierato contro questa
sanatoria annunciando che in Parlamento una misura del genere non
sarebbe mai passata.
Il cambio di passo
A decidere sarebbe
stato Renzi in persona, «dopo un lavoro sui testi fatto assieme da Mef e
presidenza del Consiglio». E così la versione definitiva del decreto
fiscale, a sua volta oggetto di vari rimaneggiamenti, ripristinerà la
versione originale della voluntary disclosure che già prevedeva la
sanatoria sui contanti, ma assoggettata al normale calcolo progressivo
dell’Irpef. Dunque molto più oneroso, al punto che quasi nessuno l’anno
passato aveva fatto emergere denaro contante.
Nonostante le
precisazioni di Renzi («faremo solo modifiche minimali») la manovra sta
cambiando. Eccome. E questo spiega anche il ritardo con cui marcia.
Solamente nel passaggio tra il consiglio dei ministri di sabato scorso e
l’invio a Bruxelles del Documento programmatico di bilancio l’importo
totale è sceso da 27 a 26,3 miliardi, gli incassi legati alla
rottamazione delle cartelle di Equitalia sono invece franati da 4 a 2,6
miliardi e ieri si è appreso anche che la privatizzazione della seconda
tranche delle Poste prevista per il 2017 è scomparsa dai radar e che il
fondo a sostegno degli esuberi delle banche anziché 100 milioni di euro
l’anno ne varrà ben 600 in un quinquennio. E così, ad una settimana
dall’approvazione formale, proprio a causa dei tanti ritocchi e delle
tante modifiche, la legge di bilancio non ha ancora visto la luce. Colpa
soprattutto delle tante misure messe e tolte dal decreto fiscale, che è
poi lo strumento deputato ad assicurare una parte importante di
coperture, per quanto molte di queste siano certamente ballerine.
I pasticci burocratici
Il
governo non solo ha “bucato” la scadenza del 20 ottobre per trasmettere
la legge di bilancio alle Camere, ma ha mandato in ritardo a Bruxelles
la sua sintesi sotto forma di Documento programmatico di bilancio (Dpb).
In questo caso la scadenza era il 15 ottobre ma l’Italia, con la scusa
del fine settimana, ha aspettato lunedì 17 per trasmetterla. L’invio è
avvenuto così tardi che sul sito della Commissione il nostro documento è
apparso solo il 18 mattina. E come se non bastasse il 19 l’abbiamo pure
corretto perché 5 tabelle erano sbagliate. L’errore più evidente l’ha
segnalato ieri via Twitter Riccardo Puglisi, professore associato di
economia a Pavia: c’erano infatti ben 42 miliardi di consumi intermedi
in più (2,5% del Pil) e 44 miliardi di euro di “pensioni e altro” in
meno, un altro 2,6% di Pil. Non certo “bruscolini”.
Dunque, se era
in ritardo di un paio di giorni il Dpb ora, spiegano alcune fonti, è
“naturale” che lo sia pure la legge di Bilancio. «In realtà ci troviamo
di fronte ad un fatto grave, perché se chiediamo ai cittadini di
rispettare tutte le scadenze il governo deve fare altrettanto. E pensare
che con la riforma avevamo accordato al governo cinque giorni in più di
tempo per fare le cose per bene», protesta Boccia. Pare che ora la
legge sia incagliata negli uffici del ministro per i Rapporti col
Parlamento cui spetta anche curarne la trasmissione al Quirinale. Per
palazzo Chigi non c’è “nessun giallo”, «bisogna solo sistemare gli
ultimi tasselli». Data prevista per la pubblicazione? Genericamente «la
prossima settimana». Lunedì? No, più probabile martedì.