La Stampa 22.10.16
Referendum. Renzi alla campagna del Sud
di Federico Geremicca
Dalla
Casa Bianca al teatro Santa Cecilia, Palermo. Dalla Johns Hopkins
University al Palacultura, Messina. E non si esagera a immaginare che
forse - lustrini e giusto orgoglio a parte - per Matteo Renzi i secondi
appuntamenti, quelli siciliani, siano addirittura più importanti dei
primi.
Lanciato l’allarme due giorni fa a Bruxelles di fronte agli
eurodeputati Pd («per il referendum abbiamo un problema al Sud»), il
premier-segretario ha deciso di dare l’esempio: e così, la due giorni
siciliana avviata ieri sera - appunto a Palermo - sembra assumere il
profilo di una vera e propria «campagna del Sud».
Nelle isole e
nelle regioni meridionali - praticamente nessuna esclusa - il «no» al
referendum è infatti ancora decisamente avanti, e Renzi comincia ad
esser preoccupato dal fatto che parole d’ordine come «riduciamo le
poltrone» e «togliamo soldi alla politica» non facciano breccia in aree
del Paese storicamente non insensibili a temi che sembrano rubati a
certa cosiddetta antipolitica.
Al Sud, del resto, la luna di miele
col più giovane premier della storia repubblicana sembra non esser mai
cominciata. Perfino alle elezioni europee del 2014 le percentuali
ottenute dal Pd da Roma in giù furono assai più contenute: 5 o 6 punti
in meno rispetto al 40,8 nazionale, con picchi ancor più deludenti (il
33% della Sicilia). E non è che prima di Renzi le cose per i democratici
andassero meglio, se si ricorda che con Bersani - alle elezioni
politiche dell’anno prima - il Pd in Sicilia si fermò al 18 per cento,
quasi doppiato dal Movimento di Beppe Grillo che toccò l’imprevedibile
percentuale del 34,5.
È indubbio che su tali risultati e sulle
odierne difficoltà del «sì» al referendum, pesi la storica
predisposizione del Mezzogiorno d’Italia a lasciarsi affascinare da
politiche e movimenti alternativamente consociativi o ribellisti - dal
laurismo al milazzismo - e comunque sempre antigovernativi o addirittura
antirepubblicani: si pensi alla nettissima vittoria della monarchia nel
referendum del 1946.
Né aiuta la campagna del sì al Sud - e
questo è un fatto - la presenza di governatori (da Emiliano in Puglia a
Crocetta in Sicilia) in pessimi rapporti con Renzi e a volte
dichiaratamente schierati per il no. Ma anche questo elemento, come il
precedente, spiega solo fino a un certo punto la difficoltà a
raccogliere consensi per l’approvazione popolare del referendum
costituzionale.
Per trovare una risposta convincente a certi
comportamenti elettorali, forse serve - più semplicemente - rileggere i
dati e le statistiche che fotografano questa area del Paese: i tassi di
occupazione, quelli della disoccupazione giovanile, il pil pro-capite,
l’asfissiante presenza della criminalità organizzata. Problemi che non
nascono con Renzi, certo, ma per i quali il premier rischia di pagare
oggi un prezzo assai salato. E l’idea che tale radicatissimo malessere
possa esser fatto rientrare rilanciando suggestioni come il ponte sullo
Stretto rischia di essere illusoria, oltre che assai rischiosa: come il 4
dicembre potrebbe dimostrare...