Il Sole 22.10.16
Riforme. Renzi contro i «professoroni del No»
«Perdono anche al Tar» - «Se alcuni sindacati volessero scioperare sul referendum per loro sarà un boomerang»
Il premier due giorni in Sicilia, campagna per recuperare voti al Sud
di B.F.
Roma
La prima tappa al rientro in Italia è la Sicilia. Una delle grandi
Regioni del Sud, assieme alla Puglia, in cui nei sondaggi il «No» ha
diversi punti di vantaggio. Davanti alla platea del teatro Santa Cecilia
di Palermo Matteo Renzi attacca chi si limita a stare alla finestra e a
lamentarsi: «Abbiamo tante sfide davanti, basta con le beghe della
politica», rilancia il premier ricordando che quanti oggi dicono di
votare «No» - come Berlusconi, D’Alema, Monti, Dini, Cirino Pomicino -
hanno governato il Paese per 20 anni e pur avendo in mano le leve del
potere le riforme «non le hanno fatte». E ancora: «Dicono No coloro che
hanno paura di finire ai giardinetti. Una posizione legittima, ma non si
può farlo a spese degli italiani. Se il referendum passa, per la
vecchia guardia è finita. Se non passa non ci sarà alcun cataclisma, ma
di certo non cambierà più nulla per tanto tempo. Non dobbiamo perdere
questa occasione».
Renzi punta a mostrarsi come l’uomo del fare al
contrario dei suoi predecessori ma anche di quella parte del Paese che
vuole rimanere ferma. Nel mirino del premier finiscono quei sindacati
che in nome del No bloccano le città («ma per loro sarà un boomerang») o
quei «grandi professori» che si rivolgono al Tar e poi perdono. «Le
riforme costituzionali servono a rimettere l’Italia al passo coi tempi, è
arrivato il momento che l’Italia abbia il coraggio di guardare in
faccia il proprio futuro», insiste Renzi che torna a definire il voto
del 4 dicembre come «l’ultima chance». «Vi chiedo una mano per andare a
vincere questo referendum», sollecita il premier a Palermo invitando
alla mobilitazione. Un contributo che, a margine del Consiglio europeo,
aveva già chiesto agli eurodeputati («gli unici eletti con le
preferenze»), affinché si impegnino con tutte le loro forze nella
campagna referendaria.
Dopo il viaggio a Washington, l’endorsement
di Obama a favore delle riforme e il primo faccia a faccia sulla
manovra a Bruxelles, Renzi torna in Italia per proseguire il suo tour:
oggi sarà a Taormina per presentare il logo del G7 e poi farà tappa a
Trapani e Messina; domani invece tornerà in tv a «In Mezz’ora». Non per
«occupare» gli spazi televisivi, come lo accusano le opposizioni, ma
perché «una settimana fa lì c’è stato D’Alema e prima Di Maio e Di
Battista». Insomma, secondo il premier in tv si trovano «più facilmente
le ragioni del No che quelle del Sì». Parole a cui replica Nicola
Fratoianni di Sinistra italiana definendo quello del premier un
«vittimismo ipocrita» visto che «a settembre ha avuto 526 minuti sui tg
Rai».
L’appuntamento clou è previsto tra una settimana, alla
manifestazione che si terrà a Roma. Un appuntamento che rischia però di
diventare la fotografia della frattura nel Pd, nel quale a fare notizia
saranno più gli assenti che i presenti. Pier Luigi Bersani resta infatti
convinto che il tentativo di mediazione in atto nella commissione
sull’Italicum, a cui partecipa per la minoranza dem Gianni Cuperlo, sia
destinato a fallire. Solo un intervento di Renzi potrebbe riaprire la
partita. Ma deve arrivare nei primi giorni della prossima settimana. Il
premier per ora non ha dato segnali. Anche perché a sua volta convinto
che in realtà l’ala che fa capo a Bersani non voglia comunque l’intesa.
L’attenzione adesso va concentrata sulla campagna per il «sì». «Andiamo
al merito, questo referendum non è né su di me né sul governo».
Ma
per il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, tra i principali
esponenti del No, «qualunque sia l’esito del referendum, sarà una
tragedia per l’Italia perché arriveremo con un Paese diviso in due». Il
Pd, con Debora Serracchiani, replica che così non è. Intanto, il
ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, in Germania, prova a
tranquillizzare: «Sui mercati finanziari c’è quest’idea che il
referendum sia la fine del mondo. Ma non lo è. Nel malaugurato caso che
vinca il No, il Paese continuerà a fare le riforme».