La Stampa 21.10.16
“Editoria, subito i decreti e potremo uscire dalla crisi”
Appello di Costa (Fieg) al governo: “Diamo sostanza alla nuova legge”
di Luca Ubaldeschi
La
legge sull’editoria è fresca di stampa - è stata approvata due
settimane fa -, ma il presidente della Federazione degli editori chiede
al governo di non perdere neppure un minuto: «Entro novembre bisogna
definire le linee guida e approvare i decreti attuativi che daranno
sostanza al testo votato dal Parlamento». L’urgenza, dice Maurizio
Costa, è figlia di una convinzione: «Se siamo tutti d’accordo che una
informazione di qualità, professionale, non quella raffazzonata in
qualche blog, mantiene un valore sociale importante, beh, io dico che
possiamo uscire dalla crisi del settore a patto di muoverci subito su
tre fronti: la piena consapevolezza della gravità della situazione e le
risorse necessarie per contrastarla; il sostegno alle indispensabili
trasformazioni strutturali; il rapporto con i player del mondo digitale,
per difendere il valore dei nostri contenuti e combattere chi li
cannibalizza».
In base a quali numeri lei dice che nessun altro settore economico ha sofferto per la crisi al pari dell’editoria?
«Tra
il 2008 e il 2015 la stampa quotidiana e periodica ha perso il 50% dei
ricavi. Parte importante di questo crollo si deve alla pubblicità, -60%.
Valeva 3,6 miliardi, è scesa a 1,5. E il trend continua: perché ancora
una volta nei primi 8 mesi del 2016 gli introiti pubblicitari crescono
per tv e Internet del 7-8%, mentre per la carta calano del 4,7%».
La nuova legge ha gli strumenti per uscire dal tunnel?
«Il
testo ha molte luci e qualche ombra e do atto al sottosegretario Luca
Lotti e al Parlamento per la disponibilità dimostrata nel cogliere le
nostre istanze. Il punto è che nessun settore può reggere al crollo che
ho descritto solo con il taglio dei costi fatto in questi anni. Servono
interventi strutturali, che la legge prevede, ma che bisogna
concretizzare nei decreti attuativi. È il nostro ultimo miglio, il più
importante».
Il testo prevede incentivi fiscali a chi aumenta
rispetto all’anno precedente gli investimenti pubblicitari solo
sull’editoria e su radio e tv locali. Quanto può valere questo aiuto?
«Noi
calcoliamo che se il 50-60% delle aziende che investono in pubblicità
aderirà agli incentivi, potremo incrementare i ricavi nel 2017 di oltre
100 milioni».
Altro tema chiave della vostra piattaforma è modernizzare le edicole e liberalizzare le vendite. Come?
«Andando
oltre i piccoli passi fatti negli anni scorsi. Le faccio un esempio:
permettere, in collaborazione con gli edicolanti, a una boutique di
vendere riviste femminili, a una concessionaria d’auto giornali che
parlano di motori. Al tempo stesso bisogna consentire alle edicole di
vendere altri servizi; perciò è fondamentale il processo di
informatizzazione della rete di vendita sul quale esiste già un cospicuo
stanziamento».
Fra i punti più delicati c’è il sostegno alla ristrutturazione delle società editoriali. Che cosa proponete?
«Un
cambiamento del modello organizzativo per favorire un ricambio
generazionale. Idealmente vuol dire continuare sulla strada aperta dal
decreto del 2014, quello del rapporto di una assunzione ogni tre
prepensionamenti, che ha registrato oltre 1000 ingressi nelle aziende.
Dal punto di vista pratico significa sbloccare tutti i prepensionamenti
da tempo in stand by secondo i criteri vigenti e sui nuovi definire un
diverso meccanismo, una sorta di Ape dell’editoria».
Ma è
possibile conciliare i conti dell’istituto pensionistico dei
giornalisti, gravati dalle tante uscite anticipate di questi anni, con
queste nuove misure?
«Il Consiglio di amministrazione dell’Inpgi
ha varato una riforma importante, nell’ottica di un riequilibrio fra
contributi e prestazioni, sino ad oggi fortemente disallineate, anche
rispetto a quanto accade negli altri settori industriali del Paese.
Proseguendo su questa linea, credo ci sia spazio per ipotizzare nuovi
meccanismi che favoriscano il ricambio generazionale di cui parlavo».
Ci sono le risorse necessarie al rilancio del settore?
«La
legge crea un fondo per il pluralismo dell’informazione in cui si passa
dalla logica di assistenza a pioggia a criteri più rigorosi
nell’allocazione delle risorse. Alcuni fondi - 50 milioni - verranno dal
recupero del canone Rai, per il resto servono scelte da fare con i
decreti, ecco un’altra ragione d’urgenza».
E che cosa risponde all’obiezione che serve anche la volontà degli editori a investire?
«Che
è pertinente e che gli editori si fanno carico della responsabilità di
gestire questa transizione. Noi diciamo che la visione assistenziale
dell’editoria è morta, non la vogliamo, siamo pronti a confrontarci con
le nuove frontiere».
Cioè con il mondo digitale. A giugno avete raggiunto un accordo con Google. Sta producendo i risultati che speravate?
«Sono
orgoglioso dell’intesa, frutto di un approccio pragmatico. Abbiamo
aperto i tavoli per discutere di valore dei contenuti, royalties,
condivisione dei dati degli utenti e trasferimento di know-how
tecnologico. Stiamo facendo sviluppi che dovranno tradursi in risultati
economici e confermo che a regime il beneficio per il settore potrà
valere 40 milioni».
Il prossimo interlocutore sarà Facebook?
«Il
tema è attuale. E quello che emerge ultimamente riguardo a Facebook per
gli aspetti legati alla privacy e alla pubblicità induce ad
approfondimenti ulteriori. Detto questo, siamo pronti a confrontarci con
tutti gli operatori, a patto che condividano un percorso di rispetto
delle regole e un modello di business sostenibile».