La Stampa 17.10.16
Ospedali senza infermieri. Emergenza da Nord a Sud
I pazienti ricoverati aumentano, le corsie sono sempre più vuote
La Cgil: per salvare il sistema sanitario ne servirebbero 25mila
di Lorenzo Gottardo
Pochi
giorni fa, a margine del suo intervento dal palco dell’assemblea Anci
di Bari, il premier Renzi ha annunciato che lo Stato italiano tornerà
presto a bandire concorsi di assunzione nella Pubblica amministrazione:
«Diecimila posti di lavoro suddivisi tra forze dell’ordine, infermieri e
dottori». Un numero che però potrebbe anche non bastare, soprattutto
nel caso degli infermieri.
«Per salvare il nostro Sistema
Sanitario Nazionale dal collasso ne servirebbero almeno 25 mila», è
l’allarme lanciato da Cecilia Taranto, responsabile per la Sanità della
segreteria nazionale Fp Cgil. Un’affermazione che sembra trovare
riscontro nei dati a disposizione. Secondo l’analisi del Conto Annuale,
periodo dal 2007 al 2014, pubblicata dalla Ragioneria Generale dello
Stato, infatti, il Ssn ha perso in soli 5 anni 30 mila dipendenti, di
cui si può stimare che un 70% siano infermieri e operatori
socio-sanitari. Nel 2009 il personale ammontava complessivamente a 693
mila unità, ridotte poi a 663 mila nel 2014, e con una progressione
simile è probabile che negli ultimi due anni se ne siano perse almeno
altre 6 mila. «Ma se andassimo a vedere regione per regione il quadro
sarebbe ancora più drammatico», prosegue la Taranto.
Un male diffuso
Perché,
se c’è un aspetto che accomuna tutte le regioni del nostro paese,
sembra proprio essere quello delle carenze a livello di personale
operativo del sistema sanitario. Dai 1563 dipendenti in meno che
lamentano le associazioni sindacali della Puglia, agli oltre 3000 che
mancherebbero in Piemonte, fino alla piccola Valle d’Aosta che con soli
703 tra infermieri e operatori socio-sanitari ne avrebbe bisogno di
altri 100. E questi sono solo alcuni dei numeri, mentre è più difficile
fare una valutazione di regioni come Calabria, Molise e Campania che,
sottoposte a piano di rientro, sono considerate tra quelle in più gravi
condizioni.
Pazienti in aumento e corsie degli ospedali sempre più
vuote, dunque. Le cause di una situazione del genere vanno ricercate
essenzialmente nel progressivo blocco del turnover e delle assunzioni in
un settore lavorativo dall’età media sempre più alta e considerato come
estremamente logorante, tanto da essere inserito dal governo nella
platea di lavoratori che potranno usufruire del cosiddetto «Ape social»
per ottenere un accesso agevolato alla pensione.
All’estero
«Una
realtà come quella di altri paesi europei, dove per ogni sei malati c’è
un infermiere, sarebbe utopistica qui da noi, ma almeno bisognerebbe
cercare di coprire i pesanti vuoti che vengono lasciati ogni anno -
afferma la rappresentante della Cgil - anche perché altrimenti si
mettono a rischio i diritti dei lavoratori, ma soprattutto la sicurezza
dei pazienti». Cosa che, purtroppo, capita già adesso. Per mandare
avanti gli ospedali e le altre strutture sanitarie in condizioni di
personale ridotto, infatti, le amministrazioni sono tornate a mettere in
discussione norme come la 161 del 2014 che garantisce ai dipendenti
sanitari un riposo di 11 ore tra un turno di lavoro e l’altro.
O
cercano comunque di aggirarle magari ponendo gli orari di reperibilità
proprio in mezzo ai turni di riposo, azzerando le ferie e spostando
personale da altri settori affidandogli mansioni per cui non è stato
preparato a sufficienza. Come capita nei Pronto soccorso e nelle
Emergenze, i reparti dove la preparazione di un infermiere è più
importante e dove le carenze di personale oggi si fanno sentire
maggiormente.
«Renzi propone un rattoppo, nient’altro. Per
risollevare il nostro Sistema Sanitario Nazionale servirebbe un
programma di turnover organizzato secondo le esigenze di ogni regione e
non qualche migliaio di assunzioni una tantum», conclude Cecilia
Taranto.