La Stampa 16.10.16
Il socialismo rischia il tramonto
di Giovanni Sabbatucci, storico
Il
Pd non si spaccherà, almeno per ora. Resta però, e non accenna ad
attenuarsi, l’inusitata asprezza del confronto che sta lacerando il
maggior partito italiano sui temi delle riforme istituzionali: temi
importanti, non c’è dubbio, ma che, presi in sé, non sembravano capaci
fino a pochi mesi fa di suscitare divisioni così profonde all’interno
del centro-sinistra. Lo scontro rinvia dunque a un disagio più generale.
E mette in discussione l’identità presente e futura di una forza
politica che tuttora si candida al ruolo di unico possibile fulcro del
nostro sconquassato sistema politico.
Forte è la tentazione di
ricondurre il tutto a una sindrome tipica della sinistra italiana, di
evocare la sequenza di scissioni che hanno segnato la storia dei partiti
di matrice socialista, di chiamare in causa le derive ideologiche ed
estremistiche che hanno a lungo impedito alle forze progressiste di
proporsi come credibile forza di governo: l’anomalia italiana, appunto.
Ma questa volta non tanto di anomalia dovremmo parlare, quanto del suo
opposto, ossia dell’adeguamento a una tendenza epocale: la crisi dei
socialismi europei, del loro modello organizzativo, dei loro antichi
bacini di consenso. Un fenomeno rispetto a cui la presenza del Partito
democratico sembrava poter rappresentare l’eccezione o l’antidoto.
I
movimenti socialisti nacquero e si diffusero nell’Europa di fine
Ottocento come portatori di una radicale utopia egualitaria. E a quella
utopia non vollero rinunciare nemmeno quando si adattarono a lavorare
all’interno delle istituzioni democratiche, come promotori e partner di
politiche sociali avanzate. Solo le sconfitte e le tragedie della prima
metà del Novecento, e soprattutto il confronto obbligato col
totalitarismo sovietico, li portarono a lasciar cadere definitivamente
gli aspetti utopici e costruttivisti della loro ideologia e a inserirsi a
pieno titolo nei meccanismi della democrazia rappresentativa. Fino a
identificarsi, nel secondo dopoguerra, col polo progressista dei sistemi
politici democratici e a svolgervi una funzione obiettivamente
stabilizzatrice. In cambio della rinuncia all’utopia, i socialisti
offrivano alle classi lavoratrici la compartecipazione ai benefici dello
sviluppo attraverso le politiche di Welfare (che peraltro non erano una
loro invenzione).
Questa pratica di scambio virtuoso, comincia a
mostrare qualche crepa negli ultimi decenni del secolo scorso, per
l’effetto congiunto delle difficoltà di bilancio e dei trend
demografici, che ne minano in prospettiva la sostenibilità. Ma il colpo
più duro viene dalla crisi del 2007-2008. Le risorse che avevano fatto
dell’Europa la terra d’elezione del Welfare (col 50% della spesa sociale
mondiale contro il 25% della ricchezza e il 7% della popolazione) si
riducono. E a soffrirne sono in primo luogo i partiti socialisti,
insidiati dai nuovi movimenti populisti non solo in quanto teorici
rappresentanti di una classe operaia in declino, ma anche in quanto
secondo polo del sistema politico.
Quella che oggi si propone ai
socialisti europei è una specie di alternativa del diavolo: mimetizzarsi
nei governi di grande coalizione, come in Germania, col rischio di
perdere la propria riconoscibilità; o radicalizzarsi a sinistra, come il
Labour britannico, con la certezza di isolarsi in un’area
strutturalmente minoritaria. Oppure spaccarsi, come in Spagna, tra i
fautori delle due opzioni. O infine quasi sparire, come in Grecia,
cedendo la propria base elettorale a qualche nuovo movimentismo
connotato a sinistra. E’ forse presto per annunciare la «morte del
socialismo» (lo fece imprudentemente Benedetto Croce più di cent’anni
fa, nel 1911). Né si può escludere che un auspicato ritorno alla
crescita economica possa influire anche sulla configurazione delle forze
politiche. Difficilmente però un soggetto socialista, comunque
denominato, potrà sopravvivere senza un ripensamento delle sue basi
ideologiche: non meno radicale di quello che nel secolo scorso lo portò a
dismettere le utopie e a confrontarsi con la realtà.