domenica 16 ottobre 2016

Corriere 16.10.16
Toni Negri
il nostalgico che rivede il ‘68 nel Nobel a Dylan
di Aldo Grasso

Tutta colpa del neoliberismo. Al banchetto delle banalità approntato per il Nobel assegnato a Bob Dylan si sono accomodati in molti. Hanno parlato di letteratura. E di politica. Pochi di cultura pop. Si sa come vanno queste cose: chi non risica, rosica.
Anche Toni Negri si è compiaciuto: «È un colpo politico molto bello da leggersi anche contro Trump». Anche contro Trump. E gli altri colpi a chi li avrebbero assestati gli accademici di Stoccolma? A se stessi, ovviamente. All’intervistatore che intravede in questo Nobel alcune ragioni del ’68, Negri risponde: «Direi che questa scelta corrisponde un po’ alla stanchezza del neoliberismo». Traduzione: il lascito del ’68 e le attuali forti diseguaglianze mettono in crisi il «selvaggio» neoliberismo e, con esso, la coscienza dei parrucconi.
Il ’68 non si scorda mai. Ancora Negri: «La parabola di Dylan mi ha sempre affascinato negli anni 60. Anche perché il sentimento che animò il ‘68 lui ce l’aveva già prima. Fin dai primi anni 60, appariva come interprete di quello che stava succedendo in una società americana aperta e piena di speranza, oltre che di rabbia». Dylan non si è mai impancato a menestrello di una qualche rivoluzione. Ha cantato l’infelicità, la desolazione e la malinconia, ma le risposte le ha chieste al vento. Al «cattivo maestro» non è mai venuto in mente che il ’68 non è stato un momento aurorale, ma la pietra tombale che l’ideologia ha messo sui Fabulous Sixties?