La Stampa 15.10.16
“Il dramma di oggi come l’apartheid
L’Europa non rimanga indifferente”
Wole Soyinka, scrittore nigeriano e premio Nobel nel 1986 “Serve una mobilitazione globale per aiutare quei disperati”
di Laura Anello
I
jihadisti? Bisogna sterminarli. Il fanatismo? Una malattia. I migranti?
Vanno accolti, «con una chiamata alla responsabilità che coinvolge i
governi dei loro Paesi». Il nigeriano Wole Soyinka, 82 anni, Nobel per
la letteratura nel 1986, ospite a Palermo del Festival delle letterature
migranti, parla con il coraggio e la nettezza di chi per lunghi anni ha
pagato con l’esilio il suo pensiero.
Lei ha detto: «Lasciate che
muoiano le nazioni e che esista l’umanità». Eppure il mondo sembra
andare in direzione opposta, verso i nazionalismi, le barriere, la
costruzione di nuove frontiere. Milioni di uomini e donne fuggono dal
Sud del mondo, trovano muri, diffidenza, ostilità.
«La gente che
arriva qui sulle barche dopo avere attraversato il mare non appartiene
ad alcuna terra, solo alla razza umana. Demarcare i territori però è un
atto istintivo degli uomini e non possiamo eliminarli dall’oggi al
domani. È un processo lungo, ma prima o poi i confini diventeranno solo
virtuali. Non è una cosa che vedrà la mia generazione, ma forse la
prossima sì».
Come giudica il comportamento dell’Europa di fronte al fenomeno delle migrazioni?
«Mi
pare che l’Europa si stia comportando come ha fatto per la lotta
all’apartheid. All’inizio è stata indifferente e perfino ostile. Poi,
gradualmente, si è innescato un cambiamento, si è fatta largo una nuova
consapevolezza. I leader europei hanno cominciato a prendere in
considerazione il problema, a parlarne, a chiedersi come accogliere la
gente che arriva. È già qualcosa. Come per l’apartheid, ci sono segni di
quella mobilitazione che ha portato al Movimento per l’indipendenza del
Sud Africa. Ma quel che bisogna chiedersi è che cosa fanno anche i
leader africani, non solo l’Europa, sul tema delle migrazioni».
Cioè?
«Perché
tutta questa gente parte? Evidentemente non trova condizioni economiche
accettabili. Che cosa fanno i leader dei loro Paesi per trattenerli,
per dargli speranze? C’è una responsabilità collettiva e globale, una
responsabilità che va condivisa. Qualche anno fa l’ex presidente del
Senegal Abdoulaye Wade, dopo il terremoto che devastò Haiti, aprì le
frontiere agli haitiani, dicendo loro: “Tornate nella vostra terra, la
terra dei vostri avi che furono tratti in schiavitù e portati nelle
Americhe”. Un gesto di bentornato. Sarebbe bello che questo accadesse
ovunque e per tutti, anche per chi arriva la prima volta in un altro
Paese».
Il mondo è spaventato, sotto la minaccia del terrorismo islamico.
«Il
mondo è in uno stato di guerra psicologica, è preda del bigottismo,
dell’intolleranza, del fanatismo. Si ricorda quando il presidente
dell’Iran (Hassan Rohani, ndr) è venuto in Italia e sono state coperte
le statue dei Musei capitolini per non offendere la sua vista al
cospetto delle nudità? E quella sera è stato pure proibito di bere vino a
tavola. Ecco, mi chiedo se gli italiani abbiano capito la gravità di
quello che hanno fatto: subire l’imposizione da parte di un ospite.
Questi sono gesti che danno spazio a tutto ciò che è fanatismo e
intolleranza. Il fanatismo è una malattia che richiede cure di
psicoanalisti, filosofi, sociologi. Se un tuo ospite, uno che inviti a
tavola, non accetta una cosa come il vino, che è parte della tua
cultura, perché la giudica peccaminosa, allora devi solo dirgli: “Torna
nel tuo Paese e lasciaci in pace”. Anche Gheddafi, quando venne in
Italia negli Anni Ottanta, pretese di dettare le stesse proibizioni, ma
gli dissero di no».
Nella sua Nigeria il terrorismo islamico è quello di Boko Haram…
«La
violenza è un abominio. Bambini presi dalle scuole e uccisi, genitori
uccisi perché li mandano a scuola, insegnanti uccisi. I terroristi
cercano di plasmare la mente delle persone, soprattutto quella dei
bambini che sono ancora condizionabili. Quando senti che trecento
studentesse vengono rapite e fatte schiave sessuali, pensi solamente che
bisogna fare sparire al più presto questi fanatici. Spesso sono bambini
i combattenti, riempiti di storie come quella del Paradiso con le
settanta vergini in premio. Come si reagisce? Bisogna continuare a
studiare e a fare studiare i bambini. E combattere, perché questa gente
venga estirpata dalla faccia della terra. Sono nemici dell’umanità».