sabato 15 ottobre 2016

La Stampa 15.10.16
Il maestro dipingeva la luce
i suoi seguaci le candele
Alla National Gallery di Londra una mostra con capolavori da collezioni inglesi analizza la rivoluzione del Merisi e la sua influenza sulla pittura europea
di Rocco Moliterni

Caravaggio non ha mai dipinto in tutti i suoi capolavori una candela. Eppure i suoi seguaci, ossia i caravaggeschi di tutta Europa, sembrano dar vita a una sorta di «valzer delle candele», nel senso che nelle loro tele per inseguire gli straordinari effetti luministici del maestro dipingono candele a gogò. E una delle tante curiosità legate alla mostra «Beyond Caravaggio» (Oltre Caravaggio) che si è aperta martedì scorso alla National Gallery di Londra. La mostra è curata da Letizia Treves e vede la collaborazione della National Gallery irlandese e di quella scozzese. Le opere in mostra, sia di Caravaggio, al secolo Michelangelo Merisi, sia dei suoi seguaci provengono da istituzioni pubbliche e private di area anglosassone.
«La National Gallery di Londra è molto fortunata »spiega la curatrice »ad avere nella sua collezione tre opere di Caravaggio significative di altrettanti momenti cruciali della sua carriera». Si tratta della Cena di Emmaus, acquisita nel 1839, di Salomè che riceve la testa di Giovanni Battista, che arriva a Londra circa un secolo più tardi grazie alla tenacia del grande critico Denis Mahon e infine il Ragazzo morso da un ramarro, opera giovanile acquisita da un collezionista americano dopo averne impedito l’esportazione nel 1986. «Solitamente - prosegue la Treves »nelle nostre gallerie non siamo in grado di mostrare queste opere in un contesto. L’ispirazione di questa mostra deriva dal voler esporre questi dipinti insieme ad altri dei seguaci di Caravaggio e di dimostrare la portata e la rilevanza della sua influenza su un’intera generazione di pittori».
Per farlo intorno a un pugno di capolavori del maestro la mostra propone oltre 40 dipinti di caravaggeschi, scanditi in sette sale. Il viaggio si apre con la sala dedicata ai primi anni romani di Caravaggio, quando a sostenerlo c’erano il cardinale Del Monte e il marchese Giustiniani. «A Roma »scrive Giovanni Pietro Bellori nel 1672 »i pittori erano totalmente attratti dalla novità e i più giovani, in particolare accorrevano per venerarlo come l’unico vero imitatore della natura, considerando le sue opere come miracoli». Abbiamo qui Il ragazzo morso da un ramarro. La rivoluzione «naturalistica» del pittore lombardo che porta la vita di tutti i giorni nei suoi quadri affascinerà in tempi a venire anche artisti come George de La Tour (due le sue opere in mostra). In questa sala ci sono giocatori di carte, giovani musicisti e zingare lestofanti ad opera di Cecco del Caravaggio, Antiveduto Gramatica e Bartolomeo Manfredi (realizzate peraltro nel 1615, quando il maestro è già morto, non ancora quarantenne, da quasi un lustro). Il pezzo forte della seconda sala, dedicata agli anni del successo romano, è la parte che accosta la Cena di Emmaus (1601) e la Cattura di Cristo (1602), dalla National Gallery di Dublino, dove Caravaggio si fa uno dei vari selfie della sua carriera, nelle sembianze del portatore di lampada. Opere come queste influenzeranno tra gli altri Bartolomeo Manfredi, che nel 1613 dipinge la sua Cattura di Cristo. Spicca in questa sala anche il Davide e Golia di Orazio Gentileschi, dove l’influenza del maestro è soprattutto nella drammaticità della situazione. Se la sala con le influenze in Italia sfodera tra l’altro un Guido Reni (Lot e le sue figlie) e un’Artemisia Gentileschi (Susanna e i vecchioni) assolutamente da non perdere è la sala «napoletana», dove oltre alla Salomè di Caravaggio ci sono dei Ribera e dei Mattia Preti. Il tutto a rendere la cupezza dell’ultima stagione del maestro. Poi c’è la sala dei caravaggeschi europei, con il valzer delle candele di autori come Adam De Coster, Willem Van der Vliet, Gerrti Van Hopntorst (Gherardo delle notti).
Ma quale è oggi l’eredità di Caravaggio, che ricordiamolo, dopo la fama e il seguito che ebbe negli anni successivi alla morte, è stato «riscoperto» da Longhi nel ’900 dopo alcuni secoli di oblio. «Quattro secoli dopo »dice Gabriele Finaldi, direttore della National Gallery »l’arte di Caravaggio mantiene il potere di ispirare, stupire e soprendere. L’esposizione mostra come i suoi dipinti rivoluzionari, lodati e criticati allo stesso tempo dai suoi contemporanei, ebbero un impatto profondo su dozzine di artisti da tutta Europa, dando luogo a un vero e proprio fenomeno internazionale». Da aggiungere, per noi italiani che Caravaggio ce l’abbiamo in casa, che la mostra londinese permette di vedere alcune opere mai viste prima.