La Stampa 15.10.16
Renzi guarda già al dopo voto
tentato di restare anche se perde
“La vera battaglia è quella che combatteremo a Bruxelles” E Zagrebelsky avverte: la consultazione potrebbe slittare
di Carlo Bertini
Un
Renzi piuttosto cool, sicuro di sè e apparentemente sereno anche
rispetto al referendum con lo sguardo proiettato al dopo voto. Questa
l’impressione che il premier ha lasciato ad alcuni dei suoi commensali
riuniti al Colle per il tradizionale pranzo con il capo dello Stato che
precede ogni vertice europeo.
Certo, il sentimento dominante di
Matteo Renzi è la fiducia nella vittoria, complici anche i sondaggi
riservati che danno un’inversione di tendenza del Sì dopo mesi di
ripiegamento. Ma in una partita apertissima come questa tutti si
esercitano in scenari scommettendo sulle intenzioni del premier. Il
quale, martedì sera a «Politics», ha ripetuto per l’ennesima volta che
in caso di sconfitta al referendum sa bene cosa farà, dando la
sensazione di non esser disposto a far finta di nulla come gli chiedono
Bersani e compagni. Ma nello stesso tempo, come ammettono alcuni suoi
interlocutori, «il problema della responsabilità della guida del paese
se lo pone eccome».
Posto che molti nel Pd danno per scontato che
il segretario porterà il partito al congresso del 2017 senza dimettersi
da leader qualunque cosa accada, su ciò che succederà al governo in caso
di sconfitta nessuno è disposto a scommettere. Da qualche giorno però
si susseguono segnali indicativi. Nel proscenio del Colle, circondato
dai suoi ministri, è andato in scena un premier che non ha dato la
sensazione di un mondo che si ferma in attesa del voto: anzi Renzi ha
proiettato lo sguardo al dopo. Certo, ha posto l’accento sul fatto che
l’Italia sarà più forte e influente con la vittoria del sì, necessaria
per vincere le partite europee. Battaglie che andranno combattute
comunque: insieme a quella referendaria, la vera sfida che attende
l’Italia sarà in Europa. Dove non solo vanno stabiliti i margini di
flessibilità per i nostri conti pubblici; ma dove a cavallo di fine anno
verranno a scadenza posizioni di vertice dell’Unione. Quella del
presidente del Parlamento europeo e l’altra del Consiglio europeo. Ed è
noto che l’Italia sia molto interessata a questa partita, ancora
piuttosto confusa. Proiettando dunque lo sguardo oltre il 4 dicembre
(nei suoi discorsi ricorre spesso il richiamo al all’appuntamento del
marzo 2017 per la celebrazione dei trattati di Roma) il segretario Pd
sembra darsi un orizzonte più disteso in avanti: ieri nella sala
ovattata del Quirinale non ha trasmesso l’impressione di voler far
saltare il banco quale sia l’esito, anche negativo, del referendum.
Ad
accentuare quest’impressione hanno contribuito le parole pronunciate a
Bari di fronte ai sindaci dell’Anci: l’indice rivolto alle scadenze del
prossimo anno, perché «il Patto dell’agenda urbana siamo pronti a
firmarlo a partire da gennaio». Frase che non è passata inosservata ai
sindaci cui è stato chiesto di «dare una mano, comunque vada il
referendum». Ma al di là degli auspici di stabilità delle élites
economiche, finanziarie e istituzionali, certo è che a detta di chi gli
sta vicino, in questi giorni Renzi ha cambiato umore ed è più
tranquillo: sta ragionando sul da farsi, quale che sia l’epilogo, ma ha
capito che deve rassicurare il paese che non c’è il capitombolo. Poi
cosa deciderà di fare se dovesse perdere si vedrà.
E a sentire
cosa dice Gustavo Zagrebelsky anche lo scenario italiano è incerto. Con i
ricorsi contro la formulazione del quesito referendario presentati dal
presidente emerito della Consulta Valerio Onida «ci può essere il
rischio di un rinvio del voto sul referendum». Perché uno «è volto a
sollevare una questione di costituzionalità sulla legge che regola
questo tipo di referendum. E se si solleva una questione di questo tipo,
le cose vanno poi alla primavera, conoscendo un po’ i tempi della
Corte».