La Stampa 14.10.16
Ecco il risiko globale se a guidare gli Stati Uniti sarà Hillary o Trump
La candidata democratica guarda alla Cina Il magnate vuole invece un asse con il Cremlino
di Francesco Semprini
I
grandi accordi commerciali sono la causa del declino americano?
L’Europa è un alleato indiscutibile? Mosca è un interlocutore o un
temibile rivale degli Stati Uniti? Sono questi gli interrogativi in
materia di politica estera a cui Hillary Clinton e Donald Trump tentano
da mesi di rispondere, talvolta però senza convincere gli elettori. «Il
mondo è cambiato molto durante l’era Obama, il presidente ha dato
precedenza alla crisi economica che stava piegando il Paese e questo ha
un po’ indebolito la leadership americana nel mondo - spiega Noel
Lateef, presidente di Foreign Policy Association -. Inoltre si sono
innescate spinte deglobalizzanti che hanno aperto spazi a forze
populiste e protezionistiche come quelle che si battono contro i grandi
accordi commerciali. Un esempio è il Nafta, la zona di libero scambio
creata tra Usa, Canada e Messico, e considerata da Trump causa del
malessere economico e occupazionale dell’America».
Posizioni
quelle anti «free-trade» che però non sono condivise dai diretti
interessati. «Proprio qui da noi alla Fpa il presidente del Messico
qualche giorno fa, citando Abramo Lincoln, ha detto: “Quando le cose
vanno bene al tuo vicino vanno bene anche a te”». E questi sono i valori
di cui si fa garante invece Hillary Clinton secondo cui erigere un muro
al confine col Messico per fermare l’arrivo di clandestini, uno dei
cavalli di battaglia del candidato repubblicano, è addirittura una
violazione dei diritti fondamentali, oltre che una mossa
controproducente. Un esempio che dimostra l’abissale distanza tra i due
candidati, da qualunque angolatura li si veda.
Trump viene dal
settore privato, Hillary dal pubblico, lui mette in discussione
l’alleanza europea, lei vuole rilanciarla, trovando nella Nato
l’interlocutore militare e nell’ Ue quello politico. Il tycoon dice che
Putin è un partner strategico per gli Usa, Clinton invece denuncia le
ingerenze del Cremlino nella campagna elettorale come un pericolo per la
sicurezza nazionale. L’unico punto in comune in fatto di politica
estera è la ferma convinzione di non dover inviare truppe di terra in
Siria, ma mentre Trump è convinto che il presidente Assad, assieme a
Iran, Hezbollah e Russia, sia nel giusto perché combattono e uccidono
terroristi dell’Isis, Hillary punta sui ribelli moderati e dice che
occorre fermare il Raiss di Damasco.
In Iraq l’ex First Lady vuole
invece armare i Peshmerga, i guerrieri curdi del Nord, progetto che
affonda le sue radici nella dottrina di George Bush mutuato dopo la
prima guerra del Golfo. In oriente Hillary punta a un dialogo con la
Cina, quella che Trump ritiene la rovina degli Usa per le produzioni lì
delocalizzate, mentre ha già annunciato che inviterebbe il leader
nordcoreano Kim Jong-Un alla Casa Bianca.
Sempre nel Vecchio
Continente infine, Trump ha il debole per gli inglesi della Brexit,
mentre Hillary punta a una partnership rosa con la Merkel. Continuità,
nel solco dell’operato di Obama (ma con lievi variazioni) rispetto a
cambiamento quindi: ma per l’America del dopo Obama quali saranno le
priorità sul piano internazionale? «Il prossimo presidente degli Stati
Uniti deve risolvere alcuni grandi problemi, come la questione dei
cambiamenti climatici, i conflitti, ma anche una ripresa economica più
inclusiva - spiega Aldo Civico, antropologo e consulente della campagna
di Obama e Hillary Clinton -. Ma soprattutto deve mettere in relazione
fra loro tutti questi fattori, con un approccio di sistema e soprattutto
creando partnership e lavoro comune».
E saranno proprio le
Nazioni Unite del neosegretario generale Antonio Guterres (ieri è stata
ufficializzata la sua nomina) uno dei primi test sul futuro della
politica estera americana. Quando il nuovo presidente Usa dinanzi ai 193
Paesi membri, deciderà se proseguire sulla linea della cooperazione e
del multilateralismo o se l’America tornerà a decidere da sola,
unilateralmente, senza render conto a nessuno.