La Stampa 14.10.16
L’Europa cuore del confronto fra Usa e Putin
di Stefano Stefanini
Fra
Stati Uniti e Russia è di nuovo Guerra fredda. Pur negandola, il
Segretario generale della Nato ha le idee chiare sul ruolo che vi gioca
l’Alleanza: sicurezza militare e dialogo politico. Si deve parlare con
la Russia, ma solo se prima blindiamo le nostre difese e la nostra
solidarietà. Anche con la presenza di soldati italiani ai confini della
Russia.
Volenti o nolenti gli europei sono al centro del confronto
russo-americano. Mosca non fa sconti all’Europa. L’Ue tiene duro sulle
sanzioni. La Russia prosegue sulla sua strada in Siria, incurante delle
conseguenze umanitarie. François Hollande, non certo un falco, ha
rinunciato ad incontrare Vladimir Putin. Altri si barcameneranno, ma
sarebbe patetico cacciare la testa nella sabbia: la pista per giri di
valzer fra Mosca e Washington sta diventando sempre più stretta.
Questa
guerra fredda assomiglia solo lontanamente al confronto globale della
seconda metà del secolo scorso. Non è in gioco il dominio planetario.
Non è uno scontro fra ideologie.
Lascia più o meno indifferenti
tre quarti dell’umanità. Sembra dettata più da accidenti, azzardi e
incomprensioni che da inevitabilità della storia. Per far marcia
indietro non ci sono muri da abbattere.
Potrebbe durare poco. E’
ugualmente pericolosa, anche perché sono venute meno le regole di
comportamento che avevano efficacemente disciplinato la vecchia Guerra
fredda, specie in campo nucleare. Agli arsenali si sono aggiunte minacce
di difficile controllo e gestione, come lo spazio e l’aggressione
informatica. Washington ne accusa Mosca che nega: chi è in grado di
provarla?
Anche mettendo da parte l’attacco informatico, la Russia
ha improvvisamente giocato la carta dell’escalation, collocando gli
Iskander a Kaliningrad, alzando la retorica nazionale e, soprattutto,
facendo naufragare i tentativi di tregua e negoziato in Siria. Cos’ha
spinto Mosca, in poche settimane, a rompere su praticamente tutti i
fronti con Washington? Sergei Lavrov si è affannato a lanciare messaggi
concilianti e ragionevoli. Non ha tutti i torti quando ammonisce gli
americani dal guardarsi da amici poco raccomandabili fra i ribelli in
Siria, ma come può giustificare la cambiale in bianco rilasciata a
Assad? (Infatti se ne è astenuto). La diplomazia russa non spiega dove
vuole arrivare il loro Presidente né in Siria né altrove. Forse non lo
sa.
Neanche Jan Stoltenberg lo sa, ma dà una risposta
perfettamente ragionevole. Vladimir Putin vuole arrivare a un nuovo
grande patto con l’Occidente. Se è così, non può che aspettare la nuova
amministrazione americana e vorrà presentarsi in una posizione di forza.
In Ucraina non può più tirare la corda, la tira in Siria. Da buon
norvegese, il Segretario generale della Nato sa che per tenere a bada la
Russia, con cui il suo Paese condivide un lungo confine e un immenso
Artico, occorre un misto di confronto, di dialogo e di pragmatica
cooperazione. La sua prima preoccupazione è che l’Alleanza abbia la
coesione, volontà politica e capacità militari necessarie.
Quando i
leader della Nato si sono riuniti a Varsavia, all’inizio di luglio, la
Russia era il problema, ma non l’unico tant’è che, anche per spinta
italiana, il vertice ha bilanciato il fronte Est, in Europa orientale,
con quello Sud, nel Mediterraneo. Sono passati solo tre mesi, ma questo
equilibrio fra le due diverse minacce alla sicurezza in Europa si è
alterato. Quella da Sud resta in tutta la sua virulenza e
imprevedibilità. Ma Putin ha giocato al raddoppio e l’Alleanza atlantica
resta il perno della difesa dell’Occidente e del mantenimento della
pace nel nostro continente. E’ tornata in prima fila.
A Varsavia,
il compito della Nato nei confronti della Russia era relativamente
semplice: rassicurare gli alleati sulla tenuta dell’art. 5 e mettere in
atto classiche misure di deterrenza. Dal momento in cui il tenue filo di
cooperazione russo-americana in Medio Oriente si è spezzato, la sfida
russa è diventata a tutto campo. L’Alleanza atlantica non può non
tenerne conto, anche se non direttamente impegnata sul teatro siriano e
iracheno (ma vi confina la Turchia e vi operano molti Paesi Nato, fra
cui anche l’Italia).
Lo sbocco di questa Guerra fredda sarà nelle
mani di Washington e di Mosca. La presenza della Nato all’uscita dal
tunnel è cruciale per gli europei. L’Alleanza non ne garantisce solo la
sicurezza militare, ma anche il coinvolgimento politico nella futura
«Yalta», se e quando vi sarà (non certo in Crimea…). Se l’Italia vorrà
essere presente al tavolo domani, farà bene a tenersi stretta la Nato
oggi. Anche andando con gli altri alleati ai confini della Russia.