La Stampa 12.10.16
Senato, Province e Cnel
Ecco i risparmi promessi
Ma non c’è certezza sull’entità del taglio della spesa se passa la riforma
di Ugo Magri
La
nuova Carta promette un taglio netto alla Casta: meno palazzi, meno
prebende, meno poltrone. Vista l’aria che tira, potrebbe essere l’arma
vincente del referendum. Non è un caso che il fronte del Sì ne stia
facendo un uso quasi smodato, come si vede da come martella l’Italia.
Per resistere, le truppe del No si arroccano sul «benaltrismo». Non
potendo difendere gli sprechi (perché sarebbero da ricovero) gli
oppositori sostengono che è ancora troppo poco, un’occasione persa per
ridurre davvero i costi della politica. La propaganda sempre esagera, da
una parte e dall’altra.
Il primo risparmio sarà al Senato che, se
il popolo è d’accordo, cambierà natura e diventerà cassa di risonanza
delle autonomie. Manterrà il nome, però i suoi membri crolleranno da 315
a 95, più eventuali 5 di nomina presidenziale. Non è prevista
un’indennità perché saranno tutti consiglieri regionali o sindaci,
dunque già retribuiti. Quanto vale questo colpo d’accetta (o limatura,
dipende)? Nel balletto delle cifre fa testo il bilancio di Palazzo
Madama, dove nel 2015 gli emolumenti dei senatori hanno pesato per 42
milioni. Se ne aggiungano 37 di indennità varie e 21 di finanziamenti ai
gruppi parlamentari: arriviamo a 100 milioni, cifra tonda. È anche
vero, però, che le strutture del Senato continueranno a esistere, sia
pure ridotte. Oggi costano mezzo miliardo l’anno, quasi la metà va per
le pensioni dei dipendenti e degli ex senatori. La nuova Costituzione
impone quello che i presidenti Grasso e Boldrini stavano già facendo per
conto loro, cioè un ruolo unico dei funzionari parlamentari, in modo
che almeno per qualche lustro alla Camera i vuoti verranno colmati dagli
esuberi del Senato. Tra l’altro, i consiglieri regionali in trasferta
saranno per forza rimborsati: dalle spese di viaggio alle cene. Per
questi rivoli se ne andranno 10-15 milioni. Non pagherà lo Stato, se ne
faranno carico le Regioni, ma pur sempre di Pantalone si tratta.
Monumento allo spreco
Insomma,
la sforbiciata al Senato vale 80-90 milioni annui. Altri, benedetti,
verranno dalla chiusura del Cnel, l’ente inutile più costoso della
storia repubblicana. Era stato pensato per formulare proposte di
legislazione sociale. Dal 1948 ne ha partorito solo 14, tutte bocciate.
In compenso questo nulla è costato una ventina di milioni l’anno, che
moltiplicato per 58 fa circa un miliardo di oggi. A parte il Comitato
lavoratori per il No, sponsorizzato da Forza Italia, nessuno difende più
questo grandioso monumento allo spreco contro cui già si batteva Ugo La
Malfa negli anni Settanta. La riforma della Costituzione finalmente lo
cancella, così come sbianchetta qualunque riferimento alle Province.
Secondo Maria Elena Boschi, la pietra tombale sulle Province metterà in
salvo 320 milioni, una cifra rispettabile. Però il calcolo è talmente
complicato che la Ragioneria generale dello Stato (l’autorità in
materia) nel 2014 alzò bandiera bianca: non è una cifra valutabile a
priori, potrebbe essere di più o anche molto meno. Tra l’altro le
Province sono state già tosate nel 2014 dalla legge Delrio: da allora
non hanno più organismi elettivi (163 milioni il risparmio conseguito) e
nemmeno dipendenti (trasferiti alle Regioni, perché i lavoratori non si
possono ancora sopprimere); in pratica rimangono degli ectoplasmi
denominati «enti di area vasta». Si occupano dell’ambiente, di mantenere
le strade, di edilizia scolastica, tutte cose cui comunque qualcuno
dovrà provvedere.
A conti fatti
Viene fissato un tetto alle
prebende dei consiglieri regionali, che grazie alla riforma non
guadagneranno più del sindaco nel capoluogo. Inoltre, i gruppi
consiliari saranno a carico della Regione anziché dello Stato centrale.
Altri due passi avanti verso la pubblica moralità, per i fautori del Sì.
Semplici gocce nel mare, secondo quelli del No. Ma il poco, forse, è
meglio del niente.